EQUIVOCI E DIALETTI
Quello dei cartelli stradali in dialetto è un tormentone che torna ogni anno come le influenze. Purtroppo spesso si porta dietro errori e malintesi, che non aiutano a chiarire la questione. Ad esempio l’idea che l’italiano sia «il dialetto toscano», accanto al quale possono stare tutti i dialetti, compreso quello bergamasco. In realtà le cose stanno in modo un po’ diverso. Come ho potuto verificare insieme a un mezzo migliaio di studenti nel corso sui dialetti italiani appena concluso all’Università di Bergamo, purtroppo proprio le lingue popolari sono al centro di molti equivoci. Premesso che tutte le lingue hanno uguale dignità e potenza, ciò che le distingue è lo status. Certo che il toscano era un dialetto come gli altri, ma da quando è divenuto la nostra lingua nazionale il suo status è cambiato. In Italia il bilinguismo è un diritto riconosciuto dalla Costituzione, ma riguarda alcune lingue di minoranza come il sardo e il friulano, che, pur essendo sociolinguisticamente parlando dei dialetti, hanno storie diverse dai dialetti italiani. La mutata sensibilità verso quel settore del patrimonio immateriale che sono le lingue dialettali ha fatto sì che, di recente e in talune aree, la forma dialettale si accompagni al toponimo in lingua nazionale. Purtroppo le ragioni non sono sempre solo trasparentemente culturali, ma in complesso è bene che la gente pensi che la propria parlata non sia «malerba dialettale», come voleva la scuola di un tempo.
La giunta del sindaco Giorgio Gori ha fatto una scelta sincretistica: ha messo il toponimo in lingua nazionale, l’esito bergamasco, ma, a scanso di equivoci strapaesani, ha aggiunto anche informazioni culturali che dai Mille spaziano a Donizetti, fino alle Mura venete patrimonio dell’Unesco ( foto). Con il risultato di trasformare un cartello stradale in un pannello informativo. I post scambiati nelle ultime ore su Facebook testimoniano, in modi a tratti fin troppo concitati, della passione di molti bergamaschi per la loro parlata. Ma allora perché non mobilitarsi per il rilancio della toponomastica storica, oggi uniformata ai padri della patria o alle icone dell’immaginario contemporaneo? È evidente che, se il problema diventa antropologico, allora in gioco entra anche il paesaggio devastato dai capannoni e dalle villette dei geometri. Ma forse questo significa chiedere davvero troppo a una polemica accesa intorno al dilemma Bergamo/Bèrghem.