BULLISMO DA STADIO
Gian Piero Gasperini è tornato da Firenze viola di rabbia. In primis, per la partita persa. E poi perché è stato insultato per tutta la partita. Il tipo di insulto più ripetuto è stato di quelli che tirano in ballo la madre dell’ingiuriato. Tant’è che alla fine Gasperini, in conferenza stampa, non le ha mandate a dire, ritorcendo l’offesa contro i fiorentini. Ora, siamo tutti consapevoli che lo stadio esiste anche per dare sfogo a sentimenti e parole che altrove non avrebbero cittadinanza. E nessuno di noi può giurare di non essersi lasciato scappare almeno una volta un insulto di cui poi (forse) si è pentito. Ma quello che è stato messo in atto a Firenze (e in altra occasione anche dai nostri supporter — chi non ricorda la famosa sceneggiata di Mazzone a Brescia?) è qualcosa di diverso. È una sistematica forma di bullismo non dissimile dalle campagne di odio che imperversano sui social. Tutti contro uno, al sicuro dietro l’anonimato del gruppo; e quell’uno impossibilitato a difendersi. La cosa curiosa è che persino sui siti atalantini la reazione di Gasperini è stata criticata, con una logica — ahimè — simile a quella della funesta lettera inviata dagli interisti a Lukaku, perché non si incazzasse se gli avversari lo chiamano «negro»: essendo un «professionista», metta in conto gli insulti. Che mondo evoluto, quello in cui l’unica misura di ogni gesto, parola o atteggiamento è il valore economico correlato. Chissà cosa ne pensano le madri degli interessati.