Protesta per il Cile paralizza i treni
Striscione e tronchi sui binari a Levate. Bloccata la linea Bergamo-Milano, ritardi di ore
Alle 20.30 Antonio Di Pietro è sull’auto che l’ha raccolto a Levate insieme a due studentesse universitarie. Dura, la vita da pendolare. E ieri ci si è messa pure la rivoluzione in Cile. Ma l’ex magistrato dei tempi di Bettino Craxi, testimone diretto della protesta che ha paralizzato la linea ferroviaria tra Bergamo e Milano proprio all’ora del rientro, sembra quasi soddisfatto.
«La cosa che mi ha colpito di più — Di Pietro lo sottolinea per tutta la telefonata — è stato il silenzio e l’educazione generale, una prova di maturità collettiva». E poi la solidarietà. Tutti in strada, compreso lui, a fare l’autostop: «Le macchine si fermavano e si riempivano».
Il treno di Di Pietro e di centinaia di pendolari (fra gli altri anche il pm Antonio Pansa, figlio dell’ex capo della Polizia) era partito dalla stazione Centrale alle 17.05. Tra Levate e Stezzano, la sorpresa. Un fumogeno accesso, tronchi sui binari e uno striscione: «Solidarietà con la rivolta in Cile». «Abbiamo superato la stazione di Levate alle 17.49 — racconta il macchinista alla guida del convoglio —. Viaggiavamo tra i 95 e i 100 chilometri orari. Dopo qualche centinaio di metri ho visto il fumo rosso e ho rallentato. L’ho interpretato come uno dei segnali previsti in caso ci sia un treno in difficoltà». Così è sceso a 30 all’ora e ha frenato del tutto quando si è reso conto che sui binari c’erano tronchi e rami ammucchiati. Oltre allo striscione bianco con la scritta rossa in bomboletta. Da quel momento, fino alle 20, la circolazione sulla linea è stata bloccata fra soppressioni, corse accorciate e ritardi. Un’odissea. Sul treno delle 17.05 i passeggeri non si sono mossi per 40 minuti. «Il treno si è fermato — racconta una ragazza — e non capivamo il perché. Dopo un’attesa che sembrava infinita è tornato a Levate e ci hanno detto di scendere». Di Pietro era sulla prima carrozza e tornava da Modena dove era stato per un processo. «Ho sentito le urla di meraviglia del macchinista e la frenata — ricapitola —. Poi ho visto il candelotto acceso e lo striscione. Non c’erano persone. Ripeto: la cosa che mi ha colpito di più è stata la pazienza dei pendolari, che non hanno pronunciato una parola contro chi ha voluto accendere i riflettori, pur nel modo sbagliato, sulla causa del Cile». Qualche momento di rabbia e di paura, in realtà, c’è stato. Fra i viaggiatori scesi a Levate una trentunenne è stata accompagna in ospedale a Zingonia per una crisi di panico: non è grave. Bus sostitutivi sono stati messi a disposizione da Trenord fra Treviglio e Bergamo ma, appunto, in molti si sono dovuti arrangiare.
Chi sia l’autore della protesta al momento è un mistero. La Digos, che affianca la polizia ferroviaria nelle indagini, non si sbilancia anche perché la contestazione è stata organizzata al buio e tra i campi, a circa un chilometro dalla stazione di Levate e dalle sue telecamere. Certo, le ipotesi non sono tante: antagonisti oppure gruppi di immigrati sudamericani. Dopo i disordini di novembre per l’aumento dei biglietti della metropolitana, il subbuglio in Cile non è mai rientrato. E l’interesse del mondo occidentale è sempre rimasto ai minimi livelli. Solo alle 19.50, rimossi i tronchi e verificato che non ci fossero altri punti a rischio fino a Bergamo, i treni hanno ripreso a viaggiare.
Il malore Crisi di panico per una 31enne sul treno fermo a Levate: è stata portata in ospedale
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Ero in testa al treno, ho sentito il macchinista urlare. Mi ha colpito la pazienza della gente. Ora a casa in autostop Antonio Di Pietro