Lo zio che rischia 14 anni per abusi sessuali La difesa: accuse senza riscontri, va assolto
Ha ascoltato gli avvocati tenendo lo sguardo basso. L’accusa è un macigno: abusi sessuali sulla nipote oggi sedicenne, ma che all’epoca dei fatti contestati aveva dai 9 ai 13 anni. Pesante è anche la condanna chiesta dal pm Carmen Pugliese, il 7 gennaio: 14 anni di carcere. L’autista, di 44 anni, di Dalmine, conoscerà le sue sorti giudiziarie il 6 febbraio (presidente Giovanni Petillo). Va assolto, invocano i suoi avvocati Elena Gambirasio e Federica Ghisleni attaccando i «due pilastri» dell’accusa, come li hanno chiamati. La «confessione carpita» via WhatsApp dal compagno di un’amica della mamma, per il metodo e per le contraddizioni del contenuto. E la credibilità della ragazza. I difensori parlano di «dichiarazioni molto vaghe e carenti di dettagli», di mancati ricordi «anche sulle condotte più recenti». La ragazza, dicono, «esprime informazioni stereotipate che può avere appreso da Internet» e si confonde anche «su un dettaglio che dovrebbe ricordare». Dice di essersi confidata con l’amichetto e un’amica per poi scrivere, in quei messaggi WhatsApp, che dell’amica non si fidava. Secondo l’accusa, la famiglia si era schierata dalla parte dell’imputato concordando, per esempio, che la nipote si fosse vendicata dello zio per un motorino negato. «Tutti hanno detto del motorino perché lo sapevano: sono una famiglia», obietta la difesa. Chiede l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» o con la formula dubitativa. O, riqualificando in atti sessuali con minorenne, perché manca la querela.
La vittima è credibile, sostengono gli avvocati di parte civile (MariaLaura Andreucci e Daniela Biella). Ha descritto fatti e luoghi, che esistono, senza ricorrere a stereotipi: il camper, il capanno, le vacanze. Non è credibile, invece, il nucleo familiare quando nega che tra zio e nipote non ci fossero occasioni di incontro. La richiesta è di 200 mila euro per la ragazza e 10.000 (ma anche solo uno simbolico) per la madre. (g.u.)