La casalinga davanti al rogo mafioso: vidi due fuggire
Le estorsioni nell’ortofrutta, parlano i primi testimoni Libera e la Regione presenti, ma l’aula è troppo piccola
Il processo per le estorsioni di stampo mafioso nel mondo dell’ortofrutta entra nel vivo. Ieri, i primi testimoni fra cui la casalinga che chiamò il 115 per il rogo doloso all’origine dell’inchiesta. La notte del 6 dicembre 2015, a Seriate, vide i tir della Ptb Trasporti bruciare e due uomini scavalcare la recinzione del deposito e fuggire. Furono poi trovate due taniche e i finestrini dei camion scampati alle fiamme spaccati. All’udienza hanno assistito i rappresentanti della commissione Antimafia della Regione, di Libera e delle agende rosse in memoria di Borsellino. L’aula però era troppo piccola per accogliere tutti e un gruppo è rimasto all’esterno.
«Al terzo o quarto tir che ho visto incendiarsi, i vetri di casa mia scottavano e allora mi sono chiusa dentro». Ha avuto paura? «Direi». La notte del 6 dicembre 2015 Sabrina Coffetti, casalinga di Seriate, 48 anni, era sveglia sul divano. Soffre di insonnia, dice. Spetta a lei, testimone suo malgrado dell’incendio doloso alla Ptb Trasporti di Seriate, aprire l’istruttoria di questo processo per mafia ieri complicato da qualche problema logistico. Aula troppo angusta per contenere il pubblico arrivato anche da Milano — fra militanti di Libera e agende rosse, l’omonimo movimento in memoria di Paolo Borsellino — e non attrezzata per consentire l’esame di Giuseppe Giglio, collaboratore di giustizia chiamato dall’accusa. A sua tutela sarà forse sentito in videocollegamento, ma a Brescia e chissà quando.
È il racconto di Coffetti, dopo due udienze di questioni preliminari, a riportare all’origine dell’inchiesta dei carabinieri con il pm Emanuele
Marchisio e la collega Claudia Moregola della Distrettuale. Giuseppe Papaleo, 50 anni, casa a Predore, è fra i 3 imputati (su 7) presenti. Arriva dal carcere di Voghera con la moglie a sorridergli prima e dopo l’udienza. È uno che «ha la bocca e non ha la parola», cioè uno che sa tacere, l’aveva definito il pluripregiudicato Carmelo Caminiti, nel gruppo di imputati per i quali è già stata formulata la richiesta di condanna (in abbreviato, a Brescia). Con un fratello ucciso in un agguato, un padre condannato per 416 bis e vari precedenti, qui Papaleo è accusato di essere il mandante dei tir bruciati per colpire il rivale Antonio Settembrini, 55 anni, di Grassobbio, parte offesa ma pure imputato (sempre in abbreviato a Brescia), perché dopo le fiamme arruolò Caminiti per rivalersi.
«Ero sul divano e ho sentito un rumore di finestrini rotti», ricorda la casalinga, che vive vicino al deposito della Ptb. Dopo «qualche minuto» il rumore è diventato come di qualcosa che arde. «Mi sono riaffacciata — prosegue — e ho visto uno dei tir prendere fuoco e due persone scavalcare la recinzione e scappare a piedi. Ho cercato subito il cellulare e ho chiamato il 115».
❞ La casalinga Mi sono chiusa in casa quando i vetri hanno iniziato a scottare per il fuoco, avevo paura
❞ Il pompiere I mezzi non bruciati avevano i finestrini rotti, ma non per il fuoco. C’era una tanica di carburante
L’accordo economico
Su dieci parti offese l’unica che si era costituita parte civile ha fatto retromarcia
Quando il fuoco si è allargato ad altri mezzi, si è chiusa in casa per la paura e in 5 minuti è intervenuta la prima camionetta. Enrico Signorelli, in servizio al comando di via Codussi, faceva parte della squadra. Con la divisa indosso, ricorda le 7 motrici bruciare: «Altre (14, in tutto, ndr) avevano i finestrini rotti, non per il calore», precisa. Furono i suoi uomini a consegnare ai carabinieri la prima tanica trovata accanto a un mezzo «con del liquido infiammabile, carburante. Lo capimmo dall’odore». Un’altra fu individuata da uno degli autisti giunto all’alba pensando di mettersi al volante. Lo spiega il vice brigadiere che visionò le telecamere puntate sull’area: avevano ripreso «4 o 5 soggetti introdursi», dichiara.
Congedati in tre quarti d’ora i testimoni, il collegio del giudice Donatella Nava è stato impegnato dalle difese. Quella di Domenico Lombardo, 46 anni, di Rovato, fra i presunti autori materiali dell’incendio, è tornata a chiedere una perizia per valutarne la capacità di sostenere il giudizio. Respinta. Con l’avvocato Marco Saita, Marzia Falabretti e la sua società di ortofrutta hanno ritirato la costituzione di parte civile, l’unica su 10 parti offese. I fratelli Carlo e Alessandro Santini, 62 e 56 anni, di Azzano, hanno risarcito il danno morale. Avvalendosi di Caminiti e della sua banda, tra il 2013 e il 2017, avrebbero riscosso 405 mila euro da sei aziende di Firenze, Como, Novara, Pavia e, appunto, Bergamo, alla Celadina. Sono ai domiciliari, chiedono di tornare in libertà. Per il loro avvocato Beniamino
Migliucci non c’è più pericolo di reiterazione, sono usciti dalla società. Inoltre, la condanna per associazione a delinquere di Carlo Santini è stata emessa «con la sospensione condizionale della pena» ed è legata a un contrabbando di banane Chiquita, rimarca il legale. «Per carità, saranno state anche banane ma i Santini hanno dimostrato una notevolissima disinvoltura a prendere contatti con soggetti e realtà criminali variegati, per loro era una prassi», stronca l’istanza il pm.
Il collegio si è riservato sulla decisione. Processo aggiornato al 5 febbraio, si spera in un’aula più capiente. La commissione speciale Antimafia della Regione, rappresentata in aula dalla presidente Monica Forte e dal consigliere Niccolò Carretta, lo chiederà al presidente del tribunale.