Scomparso da oltre 3 anni Ma vince in Cassazione sulla condanna da ridurre
Il «Biscio» Garatti forse ucciso. La sua difesa però prosegue
Lo si può immaginare, mentre apre un varco nel pavimento del pollaio del padre e lo trasforma in cassaforte. Ci infila otto mazzette di contanti in tagli da 500 euro, un tesoretto da un milione e 200 mila euro, e lo chiude con il cemento. Soldi arrivati dalla droga, per la giustizia che glieli ha confiscati. Di Fabrizio Garatti, il «Biscio», 47 anni lo scorso 15 aprile, non si sa più nulla dal 26 maggio 2016. È finito chissà dove. Ucciso, forse. Un’ipotesi «plausibile», per il pubblico ministero Emanuele Marchisio che però, senza riscontri, ha dovuto alzare bandiera bianca e chiedere l’archiviazione.
Ora, il filo rosso collegato a quel milione riporterà Garatti in aula, in Corte d’appello per la terza volta, anche se lui non ci sarà, salvo colpi di scena clamorosi. Nemmeno il suo avvocato Concetta Miucci dello studio legale Dominioni di Milano, sa più nulla di Garatti. Nel 2015, quando ancora aveva contatti con lui, impugnò la condanna per i 50 chili di marijuana che nel 2009 fecero scattare l’arresto e, anni dopo, la confisca. Non importa l’entità della condanna, una volta diventata definitiva per il giudice di Bergamo è stata il timbro della colpevolezza dell’imputato e, soprattutto, del fatto che quel malloppo nascosto sotto una soletta fosse provento illecito, non del lavoro da manovale. Quei contanti non potevano essere nemmeno vecchi risparmi del padre, proprietario del pollaio, a Costa Volpino (il figlio ha casa e famiglia a Gratacasolo,
Pisogne). «È recente», aveva detto il muratore ingaggiato dai carabinieri per rompere a picconate il pavimento.
Sulla confisca e la colpevolezza non si discute più. Però l’entità della condanna per la droga va ricalcolata, come deciso dalla Cassazione, che ha annullato la sentenza con rinvio. Il giudice dell’udienza preliminare Ezia Maccora, nel novembre 2012 dispose la condanna a cinque anni e quattro mesi, e 40.000 euro di multa. In secondo grado la pena venne ridotta a quattro anni, 8 mesi e 32 mila euro di multa. Poi la Cassazione rinviò in appello, per rideterminare la pena alla luce della pronuncia con cui la Corte costituzionale ha distinto tra pene per le droghe leggere e pene per le droghe pesanti. Andava abbassata, di nuovo. Per il Biscio, il 16 aprile 2015, in appello, era stata ridotta a tre anni e quattro mesi, e 40.000 euro di multa. Da qui una nuova battaglia della difesa sulla mancanza di diverse motivazioni. Non si spiega perché il secondo appello sia peggiorato, nella multa. Non si spiega perché il calcolo della pena sia partito da cinque anni (il massimo è sei). E l’avvocato ricorda anche che già nel rinvio a un nuovo appello «era stata sottolineata la minima partecipazione del Garatti al reato». Aveva scaricato la droga dal furgone, ma senza partecipare all’importazione, né aveva avuto contatti con i coimputati. Inoltre, sempre per la difesa, non si è tenuto conto che Garatti avesse risposto alle domande del giudice, avesse preso contatti con una Onlus per darsi al volontariato e il primo appello avesse valutato positivamente la sua personalità. Nel secondo, invece, l’ingente quantitativo di droga e i precedenti penali erano stati ritenuti «indice dell’inserimento in contesti criminali di rilievo». La Cassazione ha dato ragione alla difesa: il giudice può anche allontanarsi dal minimo edittale per calcolare la condanna, ma «assume il dovere di rendere ragione del corretto esercizio del potere discrezionale in termini di progressivo rigore». Serve, come in questo caso, una «dettagliata motivazione». Che qui manca, anche rispetto alle ragioni della difesa. Si torna a Brescia.
La vicenda Colpevole sui 50 chili di marijuana, ma la pena va ricalcolata: terza volta in Corte d’appello