«Ho pensato anche al ritiro»
L’intervista Martina Caironi parla dopo mesi di silenzio e la sentenza dell’Antidoping che ha «salvato» Tokyo «Sono stata ingenua, poi è come se fossi stata in una botola. Ringrazio chi mi è stato vicino, in primis mio marito»
«Mi stava crollando il mondo addosso. E ho pensato di ritirarmi dall’atletica e, magari, di dedicarmi allo snow. Molte persone, quelle che erano accanto a me solo per convenienza, si sono allontanate». Martina Caironi parla dopo la sentenza del tribunale Antidoping che le permetterà di gareggiare alle Paralimpiadi di Tokyo.
Nulla è cambiato, anche se tutto sembra diverso. Il tornado dell’accusa di doping ha attraversato Martina Caironi lasciando ferite invisibili, sconquassando certezze. Ma ora che «è uscita dalla botola», ora che c’è la certezza di andare alle Paralimpiadi di Tokyo, la rabbia diventa un vento interiore in grado di sospingere nuove ambizioni e anche di anestetizzare gli aculei del dolore al moncone. «C’è chi giudica senza conoscere la sofferenza — racconta l’atleta bergamasca che torna a parlare dopo mesi di silenzio —. L’ulcera mi ha provocato grandi mal di schiena, fitte, scosse elettriche. Queste cose la gente non se le immagina. La parola doping spaventa. Molti sono scappati, perché tutto era sospeso. Ho capito chi sta al mio fianco solo per convenienza e chi ci tiene davvero».
La Procura aveva chiesto 12 mesi di stop che invece sono stati ridotti a 4 dal Tribunale Antidoping. Se lo aspettava?
«Dopo l’udienza mi sono sentita sollevata, tutti gli aspetti legati al caso sono stati analizzati con grande attenzione in aula. Ho avuto modo di spiegare le mie ragioni rispondendo alle domande dei giudici in un clima disteso».
La sentenza, che doveva arrivare subito, è stata rimandata.
«Ma io ho ripreso subito ad allenarmi, ad andare in piscina e a correre, quel poco che riesco in questo momento. Poi quando mi hanno detto dei 4 mesi, non ho neanche pianto per la gioia. Sono stata chiusa in una botola per 3 mesi e adesso sta iniziando a entrare la luce».
Ha pensato anche al ritiro in questi mesi di sospensione?
«Sì, anche per una sorta di rivalsa nei confronti del sistema. Ma più che altro ho pensato a cambiare sport, a impegnarmi nello snowboard che mi piace tantissimo. Ho bisogno di fare sport e smettere scappando non andava bene. Ho dato tantissimo all’atletica e mi sono sentita tradita, come quando finisce una storia importante. Succede e tu non capisci perché».
Da chi si è sentita tradita? «Anche da me stessa. Sono stata ingenua, dovevo capire che non potevo fidarmi ciecamente, che ci voleva più attenzione. Sono all’interno di un sistema internazionale che richiede una certa professionalità sia da parte degli atleti che del loro entourage. L’Italia purtroppo in questo, come in altri aspetti, arranca».
Se tornasse indietro, cosa non rifarebbe?
«Non ho approfondito come avrei dovuto. Ho letto il foglietto illustrativo della crema, ho chiesto al medico federale, ma avrei potuto documentarmi di più. In particolare capire meglio il procedimento del Tue, il modulo di esenzione a fini terapeutici».
Qual è stato il momento più duro?
«Ho visto tutte le gare del Mondiale. Ero al massimo della forma, ma seduta sul divano. Poi il 31 dicembre mi è venuta un’infezione, non potevo indossare la protesi e sono stata costretta a rimanere in casa per settimane senza poter fare nulla. Ho persino creato una sciarpa lunghissima ai ferri…».
Come ha fatto a reagire? «In quel frangente avevo paura di farmi male da sola, non riuscivo a sfogarmi in nessun modo. Sono iperattiva ma non potevo correre, programmare, anche solo fare un viaggio. Mi sono sentita abbandonata, esclusa dal mio mondo perché in quel momento lì non sei niente. Si stava sgretolando tutto quello che avevo. Ho anche rotto un bicchiere dalla rabbia. Mi ritengo una persona equilibrata ma quello che mi è successo non lo auguro a nessuno. Una persona può anche impazzire per una cosa del genere».
Chi l’ha aiutata nei momenti bui?
«Mi sono sfogata sul mio povero marito che è stato fondamentale. Ci siamo sposati il 16 maggio, anche se non lo sanno in molti. É stato sempre presente, mi ha aperto gli occhi quando stavo perdendo la bussola. Mi ha insegnato ad avere pazienza, se fossi stata da sola avrei fatto molti più errori. L’ho anche convinto a venire a correre con me al parco: è stato un piccolo gesto che mi ha commossa. Anche questa volta i miei genitori mi sono stati molto vicini, come la mia manager Chiara Davini che mi ha guidata e supportata insieme all’avvocato Giovanni Fontana e all’agenzia di comunicazione “The Skill”». Si sente cambiata?
«Sono più adulta. Mi è servito, forse mi sono anche un po’ indurita ma credo faccia bene avere un po’ di corteccia. Non voglio dimenticare questi giorni ma ora guardo avanti. In questo periodo di sospensione c’è anche stata la fine del processo per l’incidente del 2007 in cui ho perso la gamba. Dovevo prendere delle decisioni, è stata un’altra fonte di stress».
Il 9 marzo inizia la sua seconda vita da atleta. Quando la rivedremo in pista?
«Il moncone adesso va meglio, è pulito. Ho preso l’antibiotico e mi ha fatto bene lo stop di 20 giorni. Però devo star attenta a forzare i ritmi. Penso al Grand Prix di Parigi a inizio maggio ma devo ancora pianificare con il mio allenatore. Gli Europei invece probabilmente non li farò, anche se voglio disputare tante gare qualificate per prepararmi al meglio alle Paralimpiadi».
Solitudine «Molti sono scappati, ho capito chi stava al mio fianco solo per convenienza»
Matrimonio «Mi sono sposata a maggio dell’anno scorso. Mio marito è stato fondamentale»
❞ Delusione Ho dato tantissimo all’atletica e mi sono sentita tradita da lei. Ero pronta a gareggiare con lo snowboard
❞ Dolore L’infezione al moncone provocava dolori atroci e mi ha costretto a rimanere in casa. E il mio mondo si stava sgretolando