Sette regole per scrivere un racconto
Sette consigli per rendere efficace una storia breve dallo scrittore che presiede la giuria dello Straparola
tuazione conflittuale, o una scena che «promette» un possibile conflitto.
3. Il conflitto è infatti il cuore di qualsiasi narrazione. Non c’è storia che non riproduca, con infinite variazioni, questo schema di base: il protagonista cerca di realizzare un obiettivo e qualcuno o qualcosa gli mette i bastoni fra le ruote. Quale obiettivo? Ce ne sono di ogni tipo: conquistare un amore, guadagnare denaro in modo lecito (o illecito!), arrivare alla meta di un viaggio, vincere una gara, ma anche semplicemente fare la propria vita combattendo contro malattie, disgrazie, brutte tentazioni, il nuovo vicino rompiscatole, insomma tutte le novità spiacevoli. Cosa sarebbe I promessi sposi senza don Rodrigo che s’incapriccia di Lucia? Il romanzo finirebbe a pagina 10: Renzo e Lucia si sposerebbero e tanti auguri. Attenzione però alla differenza fra il centometrista che scrive racconti e il maratoneta che si dedica ai romanzi: Manzoni può permettersi di iniziare il suo libro con una lunga descrizione di «quel ramo del lago di Como», che in un racconto sarebbe letale. Nel caso, meglio ridurla all’essenziale e andare subito al nocciolo: un prete incontra dei tipacci che gli dicono che quel certo matrimonio, che lui deve celebrare, «non s’ha da fare». Siamo in pieno conflitto. Prima quello fra don Abbondio e i bravi, poi quello fra i due poveri fidanzati e don Abbondio che, impaurito, non vuole più sposarli.
4. I personaggi fondamentali su cui dobbiamo concentrarci sono il protagonista e l’antagonista. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’ostacolo che impedisce al protagonista di realizzare il suo obiettivo è un altro personaggio che si mette di traverso. Perché? Per esempio perché anche lui tende allo stesso obiettivo, è un concorrente del protagonista. Oppure i due possono avere obiettivi diversi: un criminale vuole compiere un delitto, il detective vuole impedirglielo o consegnarlo alla legge dopo il fatto. Un trucco: non dipingete un antagonista che sia solo malvagio, odioso, un concentrato di qualità negative. Nessun essere umano, tolti i casi patologici, è privo di qualità positive. Se le facciamo vedere, il lettore troverà più credibile l’antagonista.
5. Nel racconto c’è poco spazio per i personaggi minori, altrimenti non sarebbe un racconto ma qualcosa di più lungo. L’ideale per renderli comunque interessanti è farne dei tipi: l’impiegato pedante, il poliziotto severo o al contrario gentilissimo, la zia avara (o generosa!), il collega invidioso…
6. La narrazione termina quando il lettore può rispondere alla domanda: il protagonista è riuscito a realizzare il suo obiettivo o no? Inutile dilungarsi oltre.
7. Ciò detto, è possibile ignorare queste regole e scrivere racconti «senza trama e senza finale», come li chiamava Cechov. Fu proprio lui a forgiare questo tipo di narrazione, che nel Novecento ha raggiunto esiti altissimi con Joyce, Hemingway, Carver e molte scrittrici, da Katherine Mansfield in giù. Questi racconti non disegnano uno sviluppo narrativo, sono istantanee di una situazione: una coppia in crisi, un uomo che ha smarrito i suoi ideali, un bambino che spia il mondo degli adulti. È un racconto-fotografia che si oppone al modello del racconto-film di cui ho parlato finora. Controindicazioni? Ci vuole uno stile magistrale per evitare che la fotografia, statica com’è, annoi il lettore. Con il dinamismo del film è più facile sedurlo e intrattenerlo. Ma ciascuno può scegliere il suo modello preferito. O, come hanno fatto molti, alternare i due tipi.