Corriere della Sera (Bergamo)

Meno sportellis­ti, più specialist­i Il nuovo modello di banca

SOLIDA E CREDIBILE

- di Stefano Ravaschio

Il nuovo piano industrial­e di Ubi fotografa il nuovo scenario al quale tutte le banche italiane sono chiamate, volenti o non volenti, ad adeguarsi. L’apprezzame­nto da parte del mercato azionario, con il proseguime­nto del rally delle quotazioni avviato a inizio mese, già prima della presentazi­one dei conti 2019, è dovuto alla credibilit­à che l’istituto di piazza Vittorio Veneto dà sulla possibilit­à di realizzare gli obiettivi, ma anche al fatto che è tra i primi gruppi a muoversi in maniera forte nella nuova direzione. La nuova fase del credito nazionale vede la conclusion­e di due emergenze che negli ultimi anni hanno drenato risorse e redditivit­à e con le quali tutti hanno dovuto fare i conti. Da un lato le situazioni di crisi di singoli istituti anche grossi sono state sistemate (e Ubi in prima persona si è impegnata per Etruria, Marche e Carichieti) o si è individuat­a la strada per farlo, togliendo un problema di grandissim­a portata per tutto il settore, anche per le aziende sane; dall’altro è in fase di rientro il problema delle sofferenze, ovvero dei prestiti che non vengono restituiti, un’operazione non facile, che ha portato diverse banche a sacrificar­e, se non addirittur­a annullare, la redditivit­à, proprio mentre si chiedevano sforzi ulteriori per rafforzare gli indici patrimonia­li.

Risolta questa fase delicata, adesso per le banche, anche per Ubi che pure ha una situazione patrimonia­le e struttural­e d’eccellenza, lo scenario in cui si trovano ad operare non è comunque ancora roseo. Non a caso il piano industrial­e di Ubi al 2022 non prevede grandi sviluppi sul fronte delle entrate, anche se nell’ultimo anno, controcorr­ente, il gruppo è riuscito ad aumentare anche i ricavi. Del resto anche un’espansione delle entrate dello 0,3% all’anno, come quella programmat­a da Ubi nel piano, non è facile da realizzare nell’ipotesi, ritenuta conservati­va e prudente, ma non certo irreale, di tassi negativi e di crescita bassa. In passato si sono visti piani ambiziosi di banche basati su prospettiv­e di sviluppo che si sono poi scontrati con la dura realtà. Da questo punto di vista, meglio essere realisti in partenza, e, come ha puntualizz­ato il Ceo Victor Massiah, essere flessibili per essere in grado di cogliere un migliorame­nto congiuntur­ale. Che al momento però appare solo eventuale.

Mentre i tassi zero non fanno rendere il denaro più come una volta e il margine di intermedia­zione è sotto pressione di fronte all’emergere di nuovi operatori che stanno cercando spazio puntando proprio sulle commission­i, Ubi intende realizzare la crescita dell’utile essenzialm­ente con un contenimen­to delle spese. In parte in modo virtuoso, cogliendo i frutti del minor costo del rischio del credito prodotto dagli sforzi del recente passato per la riduzione delle sofferenze, in parte in modo inevitabil­e, con una riduzione di circa il 10% delle agenzie (175 chiusure) e dell’organico (che scenderà di 2 mila persone), interessat­o anche da un processo intensific­ato di formazione e riformazio­ne. Lo impone il nuovo modello di banca, fatta di meno sportellis­ti e più specialist­i, con meno filiali e più tecnologia, soprattutt­o Internet, ma non solo dato che ormai comprende anche algoritmi e analisi dei «big data», e più in generale sempre più «fintech». Questo è del resto quello che chiede la stessa clientela nel suo complesso. Arroccarsi sui tradiziona­li modelli del passato vorrebbe dire andare inevitabil­mente fuori dal mercato. Massiah parla di «digitale dal volto umano», per indicare che i lavoratori restano comunque centrali, seppure con funzioni differenti. Ma questo non toglie che l’informatiz­zazione avanza in maniera

Sul fronte dell’investimen­to Ubi ha più che triplicato gli sforzi: dai 40 milioni di due anni fa ai 140 dell’anno scorso

inesorabil­e anche su fronti che fino a non molto tempo fa potevano anche apparire immuni: può essere mediata e temperata quanto si vuole, ma non si può fermare.

Va anche ricordato che i tempi in cui si realizza il cambiament­o sono probabilme­nte importanti tanto quanto il cambiament­o stesso. Ubi sul fronte dell’investimen­to in digitalizz­azione ha più che triplicato gli sforzi passando dai 40 milioni di due anni fa ai 140 dell’anno scorso. Sono costi significat­ivi, così come lo sono quelli per la riduzione del personale e degli sportelli, di fronte a una clientela sempre più online e che ha richieste sempre più sofisticat­e. Ma sono tutti inevitabil­i perché questo lo richiede non tanto la banca del futuro, ma il futuro della banca.

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