Meno sportellisti, più specialisti Il nuovo modello di banca
SOLIDA E CREDIBILE
Il nuovo piano industriale di Ubi fotografa il nuovo scenario al quale tutte le banche italiane sono chiamate, volenti o non volenti, ad adeguarsi. L’apprezzamento da parte del mercato azionario, con il proseguimento del rally delle quotazioni avviato a inizio mese, già prima della presentazione dei conti 2019, è dovuto alla credibilità che l’istituto di piazza Vittorio Veneto dà sulla possibilità di realizzare gli obiettivi, ma anche al fatto che è tra i primi gruppi a muoversi in maniera forte nella nuova direzione. La nuova fase del credito nazionale vede la conclusione di due emergenze che negli ultimi anni hanno drenato risorse e redditività e con le quali tutti hanno dovuto fare i conti. Da un lato le situazioni di crisi di singoli istituti anche grossi sono state sistemate (e Ubi in prima persona si è impegnata per Etruria, Marche e Carichieti) o si è individuata la strada per farlo, togliendo un problema di grandissima portata per tutto il settore, anche per le aziende sane; dall’altro è in fase di rientro il problema delle sofferenze, ovvero dei prestiti che non vengono restituiti, un’operazione non facile, che ha portato diverse banche a sacrificare, se non addirittura annullare, la redditività, proprio mentre si chiedevano sforzi ulteriori per rafforzare gli indici patrimoniali.
Risolta questa fase delicata, adesso per le banche, anche per Ubi che pure ha una situazione patrimoniale e strutturale d’eccellenza, lo scenario in cui si trovano ad operare non è comunque ancora roseo. Non a caso il piano industriale di Ubi al 2022 non prevede grandi sviluppi sul fronte delle entrate, anche se nell’ultimo anno, controcorrente, il gruppo è riuscito ad aumentare anche i ricavi. Del resto anche un’espansione delle entrate dello 0,3% all’anno, come quella programmata da Ubi nel piano, non è facile da realizzare nell’ipotesi, ritenuta conservativa e prudente, ma non certo irreale, di tassi negativi e di crescita bassa. In passato si sono visti piani ambiziosi di banche basati su prospettive di sviluppo che si sono poi scontrati con la dura realtà. Da questo punto di vista, meglio essere realisti in partenza, e, come ha puntualizzato il Ceo Victor Massiah, essere flessibili per essere in grado di cogliere un miglioramento congiunturale. Che al momento però appare solo eventuale.
Mentre i tassi zero non fanno rendere il denaro più come una volta e il margine di intermediazione è sotto pressione di fronte all’emergere di nuovi operatori che stanno cercando spazio puntando proprio sulle commissioni, Ubi intende realizzare la crescita dell’utile essenzialmente con un contenimento delle spese. In parte in modo virtuoso, cogliendo i frutti del minor costo del rischio del credito prodotto dagli sforzi del recente passato per la riduzione delle sofferenze, in parte in modo inevitabile, con una riduzione di circa il 10% delle agenzie (175 chiusure) e dell’organico (che scenderà di 2 mila persone), interessato anche da un processo intensificato di formazione e riformazione. Lo impone il nuovo modello di banca, fatta di meno sportellisti e più specialisti, con meno filiali e più tecnologia, soprattutto Internet, ma non solo dato che ormai comprende anche algoritmi e analisi dei «big data», e più in generale sempre più «fintech». Questo è del resto quello che chiede la stessa clientela nel suo complesso. Arroccarsi sui tradizionali modelli del passato vorrebbe dire andare inevitabilmente fuori dal mercato. Massiah parla di «digitale dal volto umano», per indicare che i lavoratori restano comunque centrali, seppure con funzioni differenti. Ma questo non toglie che l’informatizzazione avanza in maniera
Sul fronte dell’investimento Ubi ha più che triplicato gli sforzi: dai 40 milioni di due anni fa ai 140 dell’anno scorso
inesorabile anche su fronti che fino a non molto tempo fa potevano anche apparire immuni: può essere mediata e temperata quanto si vuole, ma non si può fermare.
Va anche ricordato che i tempi in cui si realizza il cambiamento sono probabilmente importanti tanto quanto il cambiamento stesso. Ubi sul fronte dell’investimento in digitalizzazione ha più che triplicato gli sforzi passando dai 40 milioni di due anni fa ai 140 dell’anno scorso. Sono costi significativi, così come lo sono quelli per la riduzione del personale e degli sportelli, di fronte a una clientela sempre più online e che ha richieste sempre più sofisticate. Ma sono tutti inevitabili perché questo lo richiede non tanto la banca del futuro, ma il futuro della banca.