Ubi, il cambio di marcia
Digitale, l’organico raddoppia. Meno sportellisti, più specialisti: 2.360 riqualificati, 2 mila in uscita
Dopo un anno di lavoro è stato presentato ieri il piano industriale di Ubi che proietta il gruppo presieduto da Letizia Moratti nel prossimo triennio. Investimenti nelle nuove tecnologie per 210 milioni, riqualificazione (con formazione professionale) per 2.360 addetti, mentre altri duemila bancari lasceranno il gruppo tra pensionamenti, scivoli e accordi sindacali. La crescita del digitale imporrà la chiusura di 175 filiali. Garanzie per la sede legale: resta a Bergamo. I sindacati: dialogo consolidato con la banca.
L’espressione, usata nel comunicato ufficiale, ha una certa suggestione. Si parla nell’arco del piano industriale, e cioè da qui al 2022, di 4.390 «risorse che verranno liberate». Ubi sarà «liberata» da circa il 20% della sua attuale forza lavoro, che sfiora nel Paese le 20 mila maestranze.
Attenzione, però, al concetto che presenta parecchie sfaccettature. Tra i liberati, esodati, esuberati figurano già i 300 che sono stati oggetto dell’accordo sindacale dello scorso dicembre, poi ci saranno quelli che avranno raggiunto la pensione, altri per i quali, avendone i requisiti, alla pensione ci saranno accompagnati. In molti casi si presenteranno agevolazioni che saranno gestite attraverso gli strumenti volontari del settore, ma nel giro di tre anni, questo è certo, 2.030 dipendenti lasceranno il Gruppo.
❞ Una operazione può essere iniziata dal cliente online e poi completata in filiale dal personale della banca: ecco perché serve una tecnologia dal volto umano Victor Massiah Ad
Mentre altri 2.360 dipendenti verranno «riskillati», altro termine che si può tradurre così: riqualificati nelle loro mansioni. Non è, dunque, quella dei 4.390 dipendenti del Gruppo una mannaia occupazionale che si abbatterà tout court, piuttosto il frutto di una razionalizzazione e di un ripensamento del modo di fare banca che sta alla base del nuovo piano industriale.
Elementi e situazioni che, caso per caso, saranno ragionati al tavolo con i sindacati. I quali, in merito, hanno le idee precise: ad ogni due uscite a seguito di un accordo sindacale dovrà corrispondere una nuova assunzione. Si punta a quello e, cara grazia del buon rapporto e del dialogo che negli anni si è consolidato tra banca e sindacato. Le dichiarazioni dell’ad Victor Massiah («Abbiamo con le organizzazioni sindacali un rapporto maturo di lunga data e sono assolutamente ottimista sul fatto che troveremo insieme una soluzione costruttiva e nel pieno rispetto del fattore umano») ne fanno, almeno sulla carta, un obiettivo non impossibile da centrare anche se, al momento, non quantificabile con esattezza.
«Capiremo i reali impatti solo quando ci verrà fornita la comunicazione di informativa sindacale — precisa Paolo Citterio, coordinatore Fabi del Gruppo Ubi —. I nostri obiettivi saranno concentrati ad evitare nuove operazioni di esternalizzazione e prevedere adeguati interventi di riqualificazione per i colleghi che vedranno cambiare la propria attività».
Gli fa eco la responsabile Uilca Gruppo Ubi Banca, Claudia Dabbene: «La grande sfida per i prossimi anni sarà anche quella di delineare dei percorsi di riqualificazione con adeguati sostegni formativi, sui quali il sindacato non dovrà mai smettere di confrontarsi per rendere fluidi, sostenibili e qualificanti i percorsi», mentre il segretario della First Cisl Bergamo, Giovanni Salvoldi mette l’accento sulla priorità di «impegnarci per invertire la rotta ed investire nella effettiva valorizzazione del patrimonio umano, primo ed indispensabile asset delle aziende del credito. Un obiettivo fondamentale». Anche i bancari invecchiano, questo è certo, in conto va messo il ricambio generazionale ma, soprattutto, un modello di fare banca che cambia. Sempre più digitale, e che quindi strizza l’occhio alle giovani leve smanettone (previsti 610 milioni di investimenti sull’Information Technology), ma non del tutto, perché come ha precisato Massiah «alla multicanalità dell’information technology preferiamo l’omnicanalità, ovvero un mix tra il fattore umano e la tecnologia. Un’operazione può essere iniziata online dal cliente e completata in filiale dal personale». Questo significa che le filiali cambieranno profondamente, ma nulla toglie al fatto che ne verranno chiuse 175 nel prossimo triennio (circa il 12% sul totale), mentre in quelle che resteranno, cassieri e gli operatori faranno anche altro. «Il fatto che il nuovo piano industriale impatterà sul 25% del personale ci dà l’idea — conclude Citterio — di come le banche debbano abituarsi sempre più al cambiamento se vogliono rimanere competitive».
Ecco la parola che sottende a tutte le strategie: competitività. Che fa il paio con un’altra: redditività. L’aspettano i piccoli come i grandi azionisti. E non ultimi anche i pattisti. Dai pensionati che la scorsa settimana hanno frainteso le parole di Giandomenico Genta scambiandole per vere (ma è vero che ci daranno un dividendo di 20 centesimi?) ai grandi investitori che stanno in ogni parte del mondo. Il piano prevede una percentuale di utile destinata al dividendo medio del 40%, ma per il dividendo «sky is the limit», ha specificato Massiah.
«L’unico limite che ci poniamo è mantenere a fine 2022 un Cet1 ratio (indice di solidità patrimoniale ndr) del 12,5% inclusivo degli effetti della componente e delle regole Eba che arriveranno nel 2022. Se riusciamo a stare sopra il 12,5%, allora aumenteremo il dividendo». E il primo ad esserne contento sarebbe proprio Massiah che ha un tesoretto personale di un milione di titoli. E, una banca più redditizia se lo aspettano anche i mercati che ieri hanno festeggiato con il titolo che, sospeso per eccesso di rialzo, ha chiuso a 3,4910 euro (+ 5.50%) con oltre 23 milioni di pezzi trattati: un trionfo.
❞ L’impatto sul 25% del personale dimostra che bisogna abituarsi al cambiamento se si vuole essere competitivi. Servono adeguati interventi di riqualificazione Paolo Citterio Sindacato Fabi
Le 4.390 risorse Tra i dipendenti che saranno «liberati», i pensionati e i 300 dell’accordo sindacale
Il dividendo Il piano prevede di destinare ai soci il 40 per cento dell’utile netto