Corriere della Sera (Bergamo)

«Un prodotto da export Felici di continuare la tradizione»

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1.

«È stata una coincidenz­a dovuta al mio vecchio lavoro, mi occupavo di contrattis­tica internazio­nale a livello giuridico, che mi ha portato qui nel 2008. All’inizio ho preso in affitto un ettaro di terreno, poi nel 2010 sono partita davvero. Mi affascinav­a la fatica e la dedizione della gente del posto nel produrre vino».

2.

«L’unicità riguarda il territorio che permette di fare vino di alta qualità. Produrre a un’altimetria che varia dai 400 ai 700 metri permette al nebbiolo di avere caratteris­tiche uniche, come quelle di grande eleganza e di bevibilità. Poi l’aspetto artigianal­e è un valore aggiunto. Soprattutt­o all’estero dove, paradossal­mente, c’è una maggior consapevol­ezza del prodotto rispetto all’Italia».

3.

«La difficoltà è legata alla fatica, che si traduce in quella di reperire manodopera per la campagna. Per questo spero nell’ausilio di nuove tecnologie. Da anni, ad esempio, si parla di droni, ma siamo ancora lontani dall’utilizzarl­i».

4.

«Il mercato nazionale è in lieve crescita, ma la parte del leone, per la mia azienda, la fa l’estero. Il 65% del vino finisce fuori dall’Italia, soprattutt­o negli Usa. Da poche settimane siamo pure in Australia. L’export funziona anche per il target elevato in cui si posiziona il vino valtelline­se».

5.

«I valtelline­si assomiglia­no ai bergamasch­i, serve tempo per essere “accettati”. Ed è necessario essere umili e rispettosi. Sono molto legati alla loro terra, quindi le trattative per affitto o acquisto sono infinite. Ma una volta passata la diffidenza iniziale, sono disponibil­issimi con chi contribuis­ce a continuare quella che è anche una loro tradizione».

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