«Faber ha cambiato la nostra musica»
«Nel film di Veltroni è il frontman della Pfm»
«Dopo aver visto “Fabrizio De André e PFM. Il concerto ritrovato”, il film dedicato allo storico live di Genova, è cambiato il nostro modo di suonare». È questa la confessione di Patrick Djivas, bassista della Premiata Forneria Marconi (e fondatore degli Area), durante il tour nato per celebrare gli 80 anni dalla nascita del Faber e che ripropone le canzoni più famose dell’irripetibile sodalizio tra una delle rockband italiane più amate e uno dei più grandi chansonnier di sempre. Un tour che avrebbe dovuto fare tappa stasera con un sold out al Teatro Dal Verme, ma è stato posticipato al 19 maggio per l’emergenza sanitaria (i biglietti acquistati sono validi per la nuova data).
Vi ha colpito così tanto rivedervi al cinema?
«Sì, molto, perché noi De André durante il concerto lo da dietro, e lo abbiamo visto per la prima volta di fronte con questo film».
E cosa avete notato?
«Ci ha colpito il suo viso sereno e felice, la sua naturalezza, che forse derivava dalla consapevolezza di non essere ripresi, perché a lui non piacevano le telecamere. Sembrava proprio il frontman della Pfm, non un cantautore accompagnato da una band».
Ora, quindi, avete cambiato il vostro stile musicale?
«Abbiamo scelto una scenografia diversa, e il nostro modo di suonare è cambiato. Abbiamo uno spirito più gioioso, i brani sono più istintivi, veloci di quando abbiamo fatto il disco nel ‘79».
Quel sodalizio fece storcere il naso a molti...
«I discografici dissero che sarebbe stato un suicidio artistico per entrambi, una sorta di harakiri. A De André dissero: “Vedrai: la loro musica coprirà la tua voce e la tua chitarra, è pericoloso”. E lui rispose: “Se è pericoloso è divertente”».
Come vi arricchì quella collaborazione?
«Imparammo il valore e l’emozione che possono dare le parole. Capimmo di aver lavorato con uno dei massimi esponenti della poesia italiana del Novecento. Nel nostro album successivo, infatti, scrivemmo per la prima volta i testi. Ma fu uno scambio recivedevamo
proco, perché lui andò avanti a utilizzare i nostri arrangiamenti per i suoi successivi lavori, musicalmente più complessi».
Com’era nel privato?
«Era una persona difficile, ma generosa e curiosa. Io con lui avevo un legame particolare grazie alle mie origini francesi, e per la passione comune per Brassens. Ogni tanto mi chiedeva “cosa cavolo voleva dire Georges con questa frase?”. E io gli traducevo la metafora in modo corretto. Avevano la stessa sensibilità verso gli emarginati. Una volta a Brassens gli svaligiarono la casa di Parigi, e lui ringraziò i ladri per avergli dato ispirazione perduta, cosi come fece de André con i suoi rapitori».
Quale sua canzone preferite suonare?
«Personalmente, “Un giudice”, per la linea di basso, ma credo che il connubio perfetto tra De André e Pfm sia in “Amico Fragile”, un brano che suoniamo sempre con molto trasporto».
L’insegnamento «Da Fabrizio De André abbiamo imparato il valore e l’emozione che danno le parole»