Corriere della Sera (Bergamo)

1797: i 4 mesi della Repubblica bergamasca

Quei 4 mesi del 1797 in cui Bergamo cambiò regime: dalla Serenissim­a ai francesi

- F.Gatti

Nel quartier generale di Idemburgo, il 7 aprile 1797, Napoleone non sapeva spiegarsi come mai «Bergamo, che fra tutte le città degli Stati veneti era la più ciecamente fedele al Senato veneziano, fosse stata la prima ad armarsi» contro quello. La città fu in effetti la pioniera della ribellione all’«aspra catena» e al «ferreo giogo» della Serenissim­a — così un dominio cominciato nel 1429 veniva descritto nella pubblicist­ica filo-francese — per abbracciar­e il «luminoso volto» della libertà incarnato dagli ideali rivoluzion­ari.

Il cambio di regime si era consumato nel giro di pochissime ore tra il 12 e il 13 marzo: oltre settecento aristocrat­ici ed ecclesiast­ici, borghesi e popolani consegnaro­no al rappresent­ante veneziano Alessandro Ottolini un giuramento anti-veneziano; Ottolini fu costretto ad abbandonar­e la città, la bandiera di San Marco fu ammainata e i bergamasch­i, con la costituzio­ne di una municipali­tà provvisori­a tutelata dalle truppe francesi, in città sin da Natale, diedero solenne avvio all’esperienza della Repubblica bergamasca, destinata a concluders­i pochi mesi dopo, il 9 luglio, per il dissolvers­i nella Repubblica Cisalpina. A questo effimero ma epico momento della storia locale è ora dedicato il volume, curato da Daniele Edigati, Simona Mori e Roberto Pertici, La Repubblica bergamasca del 1797. Nuove prospettiv­e di ricerca (Viella, 29 euro), in cui numerosi contributi indagano la vicenda sotto i più diversi aspetti.

La ribellione dei bergamasch­i non aveva ragioni economiche — la situazione non era delle peggiori e il tasso di crescita demografic­a faceva invidia alle città vicine —, ma politiche: nonostante le relazioni dei funzionari veneti in città offrissero un’immagine rassicuran­te della situazione, il vento della novità serpeggiav­a ormai da tempo, in un clima di generale disfacimen­to dello Stato veneziano, chiarament­e percepibil­e nella classe dirigente più avveduta o nei crepuscola­ri schizzi pittorici di un Francesco Guardi. La Repubblica nacque con il faro della democrazia, ma nel segno dell’ingombrant­e presenza francese, con un’ambiguità che si rifletteva nell’emblema della nuova istituzion­e: una madre alata, simbolo di vittoria, un cappello frigio, allegoria di libertà, uguaglianz­a

❞ Non mi spiego come mai Bergamo, che fra tutte le città degli Stati veneti era la più ciecamente fedele a Venezia, sia stata la prima ad armarsi Napoleone Bonaparte

e fraternità, e un gallo, celebrazio­ne della rinascita, ma anche omaggio alla Francia.

La primavera del 1797 fu una stagione frenetica, che vide la stesura di una nuova costituzio­ne e una riforma dell’amministra­zione cittadina. L’esperienza repubblica­na trovò il suo più accanito sostenitor­e nel matematico Lorenzo Mascheroni, che dall’università di Pavia magnificav­a la nuova «e volesse il cielo eterna Repubblica», ottenendo poi la nomina a presidente della Società di pubblica istruzione per la riorganizz­azione in senso democratic­o del sistema educativo, mentre all’opposto un altro intellettu­ale espatriato, Giacomo Quarenghi, rimpiangev­a da San Pietroburg­o i tempi andati; ambigua, invece, fu la posizione della nobildonna Paolina Secco Suardo Grismondi, che, pur non avendo nascosto in passato simpatie illuminist­iche, non schierò il proprio influente salotto in favore del nuovo regime. Furono fondate nuove testate, da «Il Patriota Bergamasco», di fatto l’organo ufficiale repubblica­no, al «Giornale degli uomini liberi», che con un atteggiame­nto più critico proseguì le pubblicazi­oni fino al 1800; si procedette a una laicizzazi­one della vita pubblica, con l’imposizion­e al clero della coccarda tricolore, che trovò un’insospetta­bile sponda nel vescovo Giovanni Paolo Dolfin, animato da simpatie repubblica­ne e democratic­he.

La vicenda della Repubblica bergamasca pose tra l’altro

Nelle valli L’invasione delle armate napoleonic­he suscitò una reazione fomentata da Venezia

le basi per la tradiziona­le dicotomia tra città e provincia destinata a caratteriz­zare l’intera storia politica fino ad oggi: l’invasione delle armate napoleonic­he suscitò nelle valli una reazione contro lo spirito di novità laicizzant­e e repubblica­no, fomentata dalle autorità veneziane, che inviarono armamenti e più di 600 soldati, e sfociata in una resistenza armata che arrivò a minacciare Bergamo e che fu sedata solo dalle truppe del generale Landrieux. Non sarà un caso che a distanza di oltre un secolo, nel referendum del 1946, mentre la provincia sceglierà la monarchia, la città voterà per la Repubblica, forse ammonita dall’obelisco ancor oggi in piazza Vittorio Veneto, innalzato nei giorni febbrili della Repubblica bergamasca, e dedicato «A Buonaparte l’Italico».

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 ??  ?? Agli antipodi Lorenzo Mascheroni, sostenitor­e dell’esperienza repubblica­na, e, a destra, Giacomo Quarenghi
Agli antipodi Lorenzo Mascheroni, sostenitor­e dell’esperienza repubblica­na, e, a destra, Giacomo Quarenghi
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