«PRIGIONIERI A CASA NOSTRA»
Vado a Malta spesso per lavoro e ieri mi ha colpito leggere sui giornali locali della richiesta della federazione dei medici di mettere «sotto controllo», se non sospendere, i voli provenienti da Orio (sono sei collegamenti alla settimana). Poco dopo è arrivata la notizia della turista di Bergamo risultata positiva al Covid-19 mentre era in gita a Palermo. E da Valencia fanno sapere ai tifosi atalantini che è meglio che restino a casa. Senza essere uno dei focolai del contagio, all’improvviso Bergamo diventa sinonimo di pericolo. E senza avere particolari responsabilità, se non il fatto di essere quello che è: una città vivace, i cui abitanti si muovono spesso per lavoro o turismo, e con il terzo aeroporto d’Italia. Non ci siamo mai trovati in una situazione del genere. Una calamità naturale ricadrebbe sotto la casistica dello straordinario, delle cose che capitano poche volte nella vita, con tutto il suo campionario di emergenze. La cosa surreale di quello che vediamo è invece che siamo — sostanzialmente — nella normalità, e che la sospensione della vita così come la conoscevamo è indotta da una paura virtuale, più che dai fatti. Scopriamo davvero quanto, oggi, tutto sia terribilmente interconnesso, e che il «lontano da qui» è un concetto anacronistico. Con l’effetto indesiderato di rovesciare uno dei luoghi comuni più popolari degli ultimi decenni. Da «padroni a casa nostra» a «prigionieri a casa nostra».