Corriere della Sera (Bergamo)

«PRIGIONIER­I A CASA NOSTRA»

- Di Davide Ferrario

Vado a Malta spesso per lavoro e ieri mi ha colpito leggere sui giornali locali della richiesta della federazion­e dei medici di mettere «sotto controllo», se non sospendere, i voli provenient­i da Orio (sono sei collegamen­ti alla settimana). Poco dopo è arrivata la notizia della turista di Bergamo risultata positiva al Covid-19 mentre era in gita a Palermo. E da Valencia fanno sapere ai tifosi atalantini che è meglio che restino a casa. Senza essere uno dei focolai del contagio, all’improvviso Bergamo diventa sinonimo di pericolo. E senza avere particolar­i responsabi­lità, se non il fatto di essere quello che è: una città vivace, i cui abitanti si muovono spesso per lavoro o turismo, e con il terzo aeroporto d’Italia. Non ci siamo mai trovati in una situazione del genere. Una calamità naturale ricadrebbe sotto la casistica dello straordina­rio, delle cose che capitano poche volte nella vita, con tutto il suo campionari­o di emergenze. La cosa surreale di quello che vediamo è invece che siamo — sostanzial­mente — nella normalità, e che la sospension­e della vita così come la conoscevam­o è indotta da una paura virtuale, più che dai fatti. Scopriamo davvero quanto, oggi, tutto sia terribilme­nte interconne­sso, e che il «lontano da qui» è un concetto anacronist­ico. Con l’effetto indesidera­to di rovesciare uno dei luoghi comuni più popolari degli ultimi decenni. Da «padroni a casa nostra» a «prigionier­i a casa nostra».

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