Il pittore della borghesia
Ritrattista prima e paesaggista dopo Emilio Vitali è stato uno degli artisti milanesi più amati a cavallo delle due guerre A quarant’anni dalla morte viene riscoperto
Settembre 1943: la famiglia Vitali, alta società milanese, religione ebraica, è sfollata sul lago di Como. Il padre Emilio (Milano 1901-1980) è un buon pittore figurativo, molto richiesto come ritrattista dalla ricca borghesia meneghina che negli anni Trenta lo vezzeggia e lo porta in palma di mano. Ma nel ‘38 le infami leggi razziali cambiano radicalmente la sua posizione: chi prima avrebbe dato un occhio per posare nel suo atelier ora, se lo incontra, cambia marciapiede. Vitali cade in depressione, s’intristisce, nei suoi quadri compare una vena di malinconia che non lo abbandonerà più. Meglio essere sul lago: per la precisione a Laglio, dove la casa di famiglia, acquistata dal nonno ex garibaldino nel 1870, è proprio quella splendida Villa Oleandra oggi nota come «buen retiro» di George Clooney. Per gli ebrei però la regione lacustre si sta trasformando in una trappola: nel Novarese arriva l’esercito nazista, che il 13 settembre inizia i rastrellamenti. Prima Baveno, poi Arona e Mergozzo, poi ancora Meina. Sono 57 le vittime della strage, trucidate tutte sul posto. A casa Vitali il giorno 16 arriva trafelato un amico che avverte di quanto sta accadendo sul lago Maggiore. «Papà era un uomo molto dolce e tranquillo, era più volitiva la mamma», ricordano le figlie Franca e Marina. «Ma in quella circostanza è emersa la decisione del suo carattere, che ci ha salvato la vita: la sera del 17 eravamo già in cammino sopra Moltrasio, verso il territorio svizzero». Attraverso i prestinai del paese, i coniugi Galetti oggi riconosciuti tra i «giusti tra le nazioni», Emilio Vitali con moglie, figlie, nonna e governante arriva al confine e in maniera rocambolesca riesce a passarlo. Tre mesi in due diversi campi di concentramento, poi l’artista tramite conoscenze riesce a dimostrare di potersi mantenere con il suo lavoro. Si trasferiscono a Lugano, dove torna a eseguire i suoi bellissimi ritratti fino alla Liberazione e al ritorno a casa: poi abbandonerà il soggetto umano per dedicarsi solo al paesaggio. Dunque una microstoria che, nell’immane tragedia della Grande Storia, ha avuto un lieto fine.
Avremmo dovuto raccontarla il 10 marzo con una conferenza e una piccola mostra con i suoi lavori più significativi. Avremmo dovuto raccontarla alla Permanente di via Turati, di cui Vitali era socio all’epoca come tutti gli artisti di vaglia. Avremmo dovuto raccontarla perché il 4 gennaio è ricorso il quarantesimo anniversario della scomparsa del pittore e le figlie hanno voluto ricordarlo con un bel gesto, donando al Museo della Permanente uno smagliante ritratto femminile della loro collezione (quello a Esmeralda Ruspoli datato 1953). La narrazione per iscritto raggiungerà forse ancor più persone, che conosceranno così
Vitali e la sua arte quasi dimenticata. Un linguaggio pacato il suo, inizialmente più solare, plastico, vivo, poi dal Dopoguerra più trasparente, velato, evocativo. Fedele alla realtà di radice lombarda, pittore «en plein air» come gli avevano insegnato i suoi maestri Camillo Rapetti, Antonio Ambrogio Alciati e Attilio Andreoli, ritrattisti eccellenti tra Ottocento e Novecento. Ma uomo del suo tempo nella profondità di uno sguardo capace di andare oltre l’apparenza del vero.
Sul lago di Como La casa di famiglia acquistata a Laglio dal nonno è Villa Oleandra oggi di George Clooney