Alzano, crocevia del contagio
Pensionato morto martedì: terza vittima. Era entrato al Fenaroli il 15 con i sintomi: trovato positivo otto giorni dopo
Nembro e Alzano. Un paese e un ospedale sono il crocevia del contagio da coronavirus in Bergamasca. Il terzo decesso, martedì, è di Franco Orlandi, 83 anni, camionista di Nembro. Al Fenaroli era arrivato sabato 15 febbraio. «Aveva la febbre alta, gli avevo fatto fare i raggi», dice la moglie, in quarantena come i nipoti che avevano assistito l’anziano. Di Nembro è anche Samuele Acerbis, 63 anni, rappresentante. Ora è in Terapia intensiva all’ospedale Papa Giovanni. Anche lui era passato all’ospedale di Alzano, lo scorso fine settimana: «Il test l’ho fatto domenica su mia insistenza». Ma stava male già dal 17 febbraio, quando è rimasto a casa dal lavoro.
Franco Orlandi, 83 anni, trasportato ad Alzano già il 15 febbraio La moglie: «Aveva la febbre alta, gli avevo fatto fare i raggi»
C’è un paese. C’è un ospedale. E ci sono almeno due pazienti che si sarebbero rivolti al pronto soccorso quando già il coronavirus aveva tolto il fiato a entrambi. Franco Orlandi, camionista in pensione di 83 anni, è morto l’altro ieri. Samuele Acerbis, 63 anni, rappresentante, è in Terapia intensiva. Per le fonti ufficiali è presto per parlare di focolaio, tra Nembro e Alzano. Di sicuro, però, i punti in comune con quello finora considerato l’epicentro del contagio, Codogno e il Basso Lodigiano, non sono pochi. E le date, specialmente del ricovero di Orlandi, fanno sorgere una domanda: davvero è iniziato tutto dalla Pianura?
Orlandi e Acerbis rientrano negli otto casi (fino a martedì sera) accertati a Nembro. Non è chiaro se si conoscessero o se fossero entrati in contatto. Il primo viveva in via Roma, dove la moglie di 84 anni è in quarantena. «Non abbiamo ancora potuto fissare la data del funerale — spiega con tutta la comprensibile difficoltà ad affrontare l’argomento — perché, sia io sia i nipoti che lo hanno assistito, abbiamo il divieto di uscire». Serve superare indenni il periodo di incubazione, di 14 giorni per gli esperti. L’anziana sta bene ed è in contatto quotidiano con l’Ats, che la chiama per verificare la temperatura. È stata proprio la febbre alta a spingerla a chiamare il 118 per il marito: «Era sabato, non quello appena passato, quello prima». Dunque, il 15 febbraio. Mattia, il podista di CodoQuando gno, si è presentato in ospedale per la seconda volta, quella decisiva, quasi cinque giorni dopo, nella notte tra il 19 e il 20 febbraio. La sera del 20, giovedì, è arrivata la conferma sul virus e il venerdì la sua storia era sui giornali. «Gli ho fatto fare di tutto, raggi, ho chiamato la guardia medica, l’ho portato dal dottore, ma è andata così», prosegue la moglie di Orlandi, che non riferisce di particolari patologie pregresse: «Aveva fatto tre bypass, però era un uomo ancora in gamba». I sintomi sembrano portare tutti al coronavirus già prima del ricovero: «Aveva iniziato con un po’ di febbre la notte e aveva problemi a respirare.
è arrivata l’ambulanza, la febbre era molto alta, non stava bene».
Anche per Acerbis il contagio sembra essere avvenuto fuori dalle mura dell’ospedale. Si era messo in malattia «per l’influenza» dal 17 febbraio e si è aggravato nel fine settimana successivo. Dal Papa Giovanni risponde con pochi messaggi e un selfie in cui appare molto provato: «Il test l’ho fatto domenica alle 13 su mia insistenza», sostiene. È quando la Regione dà l’annuncio dei primi tre casi bergamaschi, uno all’ospedale di Bergamo e gli altri, appunto, ad Alzano, dove è poi risultato positivo anche il primario del reparto di Medicina.
Sui tempi e sulle modalità del contagio ad Alzano non c’è chiarimento né dall’Azienda ospedaliera né dalla Regione, cercate. «Stanno verificando gli esperti dell’Istituto Superiore della Sanità — la risposta del capo della Protezione civile Angelo Borrelli sull’ipotesi del focolaio bergamasco —, c’è un’attività in corso e aspettiamo che ci diano una conferma o meno quanto prima».
«Misure drastiche non ce le aspettiamo — dice il sindaco di Alzano Camillo Bertocchi—. Una cintura attorno all’ospedale? Allo stato non serve». La normalità, però, è ancora lontana. Ieri mattina al mercato su oltre 65 bancarelle ce n’era la metà. Il sindaco è passato per dare un’occhiata. Fino a giovedì, nei reparti erano al lavoro anche i volontari ospedalieri. Sono una ventina, hanno sospeso il servizio. La presidente: «Siamo in contatto con la direzione per ogni necessità».