Smart working, l’impennata
Lavora da casa l’85% dell’organico Italcementi-Heidelberg Modalità potenziata anche alla Polynt e alla Tenaris I piani di Z-Lab a Trescore e Minipack Torre a Dalmine
Molte aziende, come Italcementi-Heidelberg, in questi giorni, hanno dipendenti che lavorano da casa.
La preoccupazione non manca, ma lo spirito si mantiene comunque alto. Alberto Ghisalberti, una vita di lavoro in Italcementi nell’ambito della comunicazione aziendale, ci scherza anche un po’ su: «È la prima volta che mi succede, c’è a casa anche mia moglie che fa l’insegnante, il figlio pure. Speriamo che non mi ammazzino loro...gli uomini a casa, si sa, sono difficili da sopportare,rompono». Anche quando ci lavorano. «La prima telefonata della giornata arriva alle 8.30 del mattino e le cose vanno avanti comunque, i contatti proseguono, l’elaborazione dei progetti anche», conclude Ghisalberti. Dallo scorso martedì, l’85% dell’organico degli uffici di Italcementi-Heidelberg lavora in modalità Smart
working, il lavoro agile, ancora di più del telelavoro proprio perché si può fare anche con il cellulare. Questo significa che circa 200 maestranze su 240 totali stanno lavorando in un modo, se non proprio nuovo, certamente imprevisto fino anche solo ad una settimana fa. Lo strumento è aziendalmente contemplato da Italcementi per una volta al mese, ma il coronavirus ha accelerato i tempi ed esteso le fruizioni. «I dipendenti — fa sapere l’azienda — sono dotati di computer e telefoni aziendali con i quali svolgono l’attività lavorativa dal proprio domicilio. Incontri e riunioni si stanno svolgendo in videoconferenza e ove ciò non fosse possibile, sono rinviati a data da destinarsi».
Certo, ci sono mansioni e mansioni. Chi fa freni, ad esempio, non può farli dal tavolo del salotto e questo spiega perché in Brembo tutto funzioni come sempre, con un’insieme di attentissime misure precauzionali — come precisa l’azienda in una nota ufficiale — e «con l’ampliamento e il potenziamento dello Smart working». Cosa che avviene anche in Ubi, mentre a Confindustria Bergamo risulta che siano circa una ventina le realtà interessate, tra grandi e piccole.
Per chi opera nel mondo dell’information technology, lo è una pratica, da sempre, facilmente attuabile che in questo frangente emergenziale viene potenziata. Succede alla Tenaris Dalmine e alla Polynt di Scanzorosciate. Ma anche, su altra scala, alla Z-Lab di Trescore (sviluppo e fornitura di software per il business), dove 7 dipendenti su 30 sono produttivi in questa modalità. «E con due livelli di lavoro agile — spiega il titolare Paolo Pontremolesi — abbiamo predisposto per tutti i collaboratori un accesso virtuale dell’azienda grazie al quale, con un computer che abbiamo dato loro in dotazione, sono in connessione con tutti gli asset digitalizzati di piani di lavoro e degli interventi. In questo modo possiamo operare da remoto sui clienti, fermo restando che proprio per la nostra tipologia di lavoro lo Smart working è un’operatività che già adottiamo e che, in termini di produttività, è equiparabile a quella dell’ufficio con un range che oscilla tra il 5% in più o in meno rispetto alle modalità solite». «L’interesse per lo Smart working c’è da sempre — gli fa eco Fabio Torre, a capo della Minipack Torre di Dalmine, attiva nella produzione di macchine da imballo, organico di 84 dipendenti — ma in questo caso lo abbiamo volentieri attuato per alcune situazioni famigliari che si sono venute a creare. Si tratta di alcune mamme impiegate in difficoltà con la gestione dei figli, pure loro a casa. È un’opportunità che necessita di calibrature e configurazioni informatiche complesse e a prova di security, ma indubbiamente molto interessante».