«Minacce sui social per un’omonimia»
Con la frenesia da tastiera nelle dita, non avevano contato fino a dieci prima di digitare accuse, insulti e minacce. Quel Giovanni Oberti che avrebbe provocato la morte di Gina, il jack russel della fidanzata, per gli scatenati dei social era subito diventato l’Oberti della concessionaria Renault. Che invece si chiama Omar e nulla c’entra con quel cagnolino. Anche l’Enpa era finita nel mucchio dei post, chiedendo di boicottare la concessionaria, ma poi rettificò e la querela per diffamazione venne ritirata. Come altre, con scuse e risarcimento «che ho devoluto in beneficenza», ha detto Omar Oberti, ieri al processo in cui è la vittima. Nove persone sono imputate per lo più per istigazione a delinquere, un paio per diffamazione, ma dicono di non essere gli autori dei post. Donne e uomini. Un’imputata, di 26 anni, impiegata brianzola, è scoppiata a piangere. Aveva scritto: «Ti troverò e ti ucciderò». Ieri ha detto che citava un film, che non voleva attaccare il concessionario ma il vero autore delle sevizie al cane e, comunque, non istigare nessuno. Oberti (Omar) aveva chiuso l’autosalone per quattro giorni per frasi come quelle, altre in stile «datemi il suo indirizzo, vado di persona», e telefonate in azienda. «Conoscevano mail, telefono, indirizzo. Ho ricevuto minacce di morte. Ho avuto paura per i miei familiari — ha raccontato il titolare della concessionaria —. Ho dovuto chiudere perché i dipendenti non si sentivano sereni e ho dovuto dare spiegazioni alla casa madre. Il danno maggiore è quello di immagine. Ancora oggi c’è chi mi chiede come sia finita quella vicenda e questo mi dà fastidio».