Corriere della Sera (Bergamo)

Il (falso) allarme tampone Imputato con mascherina

- Giuliana Ubbiali

Nel verbale di arresto era «in attesa di esito tampone coronaviru­s». Nei corridoi del tribunale, il ragionamen­to era: se dall’ospedale hanno permesso di portare qui l’arrestato, significa che il test è negativo. In realtà non c’è stato nessun tampone. Senza sintomi né segnali sospetti, e con una radiografi­a, per i medici non serviva.

È il processo ai tempi del coronaviru­s con il dubbio che sparge il disagio, se non proprio l’allarme. Si chiedono chiariment­i e la carta (medica) dirimente. Tutto perché l’arrestato, per droga, in caserma dice che soffre di enfisema polmonare e gli manca il respiro. I carabinier­i chiamano il 118 e lo accompagna­no all’ospedale di Treviglio, dove lui rivela di essere stato in un bar di Casalpuste­rlengo, uno dei comuni della zona rossa, a inizio febbraio. Diventa un possibile caso sanitario, ma la visita lo esclude e la moglie dirà ai carabinier­i che dal Lodigiano erano solo passati in automobile. Finisce lì per l’ospedale e per i militari. L’uomo rimane ai domiciliar­i, a Casirate (ha due bambini), in attesa di quella che sembra una direttissi­ma tra tante. Ma sabato mattina, in tribunale, è un’altra storia finché non viene chiarito l’antefatto. Nel fascicolo ci sono i risultati del tampone? Certo. Invece no. L’avvocato Marco De Giorgio, di Milano, è arrivato da tempo. Il suo assistito scortato dai carabinier­i, anche. Ma è meglio far venire i colleghi del Radiomobil­e di Treviglio che hanno effettuato l’arresto, la sera prima, perché sanno meglio com’è andata. Dopo una direttissi­ma, il giudice Alberto Longobardi ne celebra una seconda. Alla terza, il brigadiere svela l’arcano.

Ma nemmeno ora diventa un normale processo. Per scrupolo, all’imputato viene fatta indossare la mascherina (senza filtro). M.C., operaio di 44 anni, con precedenti, in cura per vecchi problemi di droga (da qui le iniziali), mezzo grammo di hashish, 12 di marijuana e 20 euro falsi in casa, nega. Dice che lo straniero visto dai carabinier­i uscire da casa sua, e che riferisce di rifornirsi da lui, è il suo spacciator­e. Ha l’obbligo di firma, la sentenza il 23 marzo. Chi lo spiega all’imputato precedente? È uscito dall’aula dicendo: «Che metta o no la mascherina in aula, noi eravamo con lui al piano di sotto». Nelle celle al piano interrato.

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