L’IMMOBILISMO UMILIA BERGAMO
Aquesto punto non è più chiaro se istituire la zona rossa in Val Seriana serva a qualcosa. I numeri del capoluogo, quelli di Zogno, la diffusione capillare del coronavirus in provincia, tutto il quadro dice che sui paesi del focolaio (Nembro e Alzano) si sarebbe dovuti intervenire dieci giorni fa. E gli elementi per farlo c’erano, numeri paragonabili al Lodigiano. La Regione ha tentennato per giorni, ieri ha chiesto misure più stringenti. Ma al governo la questione è sembrata interessare poco, per giorni. Se anche la decisione arrivasse nelle prossime ore, come pare ora probabile, si sarà perso tanto tempo prezioso per il territorio, umiliato dall’immobilismo. A Bergamo, provincia di 1 milione e 200 mila abitanti, che contribuisce al Pil nazionale più di intere regioni, non si è visto e sentito nessuno. Nessuno. Neanche il ministro della Sanità Roberto Speranza, passato da Milano per dire alla giunta regionale cose già dette al telefono. Nemmeno Matteo Salvini, che a Bergamo ha percentuali bulgare e nel pieno dell’epidemia sfoggia taglieri di salumi trentini. Questa è oggi una provincia terremotata dalla malattia, dal lavoro che si ferma e dalla paura che nulla sarà più come prima. Ma a Roma sembra non importare, non abbastanza da far prendere una decisione rapida. Qualunque sia. Razionale o di convenienza. Ma in tempi accettabili, per mettere fine a un’incertezza che fa più danni del virus. Quella che arriva sul territorio è l’impressione, forte, di distacco: una cosa che sta lasciando una ferita profonda nei bergamaschi, una frattura nel senso d’appartenenza al Paese.