Un déjà vu infelice e la festa per la vittoria che non si può fare
La città prende due ore di ossigeno davanti alla tv, ma la serata è un déjà vu infelice. È la sensazione provata 35 anni fa, davanti alle immagini dello stadio Heysel. A 5 anni, sei troppo piccolo per capire bene cos’è la morte. Soprattutto se prende forme inverosimili, mostruose. Ma della Juve che vince insensatamente la prima Coppa Campioni, dove pochi minuti prima si stava compiendo una strage, ti resta nella memoria un dolore sordo. Sei solo un bambino di 5 anni con la maglia di Platini, che vuole festeggiare la vittoria. I tuoi genitori ti hanno tenuto al riparo dalle immagini peggiori, non sai niente di hooligans, di persone soffocate, di persone schiacciate. Ma senti che qualcosa non va. Una sensazione terribile, due volte, perché quando cresci sai, e quando sai scopri quale dolore può dare una pura gioia trasformata in male puro. Sono momenti in cui il calcio stesso, una delle cose per cui vale la pena vivere, perde senso. Bisogna ringraziare l’Atalanta per quello che ha regalato a Bergamo, anche in una sera così. Poi bisogna fermare tutto. Per rispetto. Ma anche perché fingere che si possa andare avanti a sorridere per un gol è una violenza a se stessi. Col tempo, la palla ricomincerà a rimbalzare e l’Atalanta tornerà a essere il centro della felicità di tanti bergamaschi. Non oggi, non si può.