«Governo senza il coraggio di chiudere»
Le ultime misure accolgono la linea di Confindustria Critico Agnelli. I sindacati: «Si poteva fare di più» Bonetti (Foppapedretti): il governo impari a decidere
Secondo il presidente della Foppapedretti, Luciano Bonetti, il governo «lascia decidere agli altri, e cioè a noi, ciò che non vuole decidere». Paolo Agnelli, per Confimi Industria, attacca la Regione per non aver chiesto lo stop delle aziende all’esecutivo, su consiglio «solo di Confindustria». Mentre l’associazione che ha sede al Kilometro Rosso conta le aziende che chiudono in autonomia, erano trenta ieri sera. Non mancano le critiche, quindi, al nuovo decreto del governo. Per Dario Violi (M5S), le misure sono inadeguate, secondo il sindaco Giorgio Gori serve «un passo in più». E lo stesso sostiene Daniele Belotti. Mentre Bergamo si ferma
Prevale la linea di un fermo volontario per le aziende nel decreto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, salvo per i «reparti non indispensabili» che vanno sospesi. E ad arrabbiarsi, stavolta, non sono i partiti di sinistra (se ne esistono ancora), e neppure i sindacati in solitaria, ma gli stessi imprenditori, con qualche frizione nei confronti di Confindustria. «E chi lo dice che non ci si poteva fermare?», si chiede il presidente di Confartigianato Bergamo Giacinto Giambellini, restando tra il detto e il non detto: «Si ferma il calcio e non si può fermare un cantiere o un’azienda? Fatemi capire...».
«Irresponsabili»
Un siluro verso l’esecutivo parte da Luciano Bonetti, presidente della Foppapedretti, dopo la decisione di sospendere uno dietro l’altro tutti i reparti fino al 20 marzo. «Ma che decreto è? Da irresponsabili. Hanno tutti paura di decidere e demandano agli altri, e cioè a noi, le scelte più difficili: siamo alle solite. Dobbiamo fermarci per bloccare questa epidemia? Facciamolo, per 15, 20 giorni, di più se serve. E diciamolo con forza da qui, da Bergamo, perché se la situazione dovesse aggravarsi poi conteremmo danni irreparabili su un territorio che pesa molto sull’economia nazionale».
«Lasciati soli»
La linea che prevale nel provvedimento è, più o meno, quella definita con Confindustria, già due giorni fa, tra il presidente dell’associazione regionale Marco Bonometti e il governatore della Lombardia Attilio Fontana: le aziende si fermano se valutano di poterlo fare. L’associazione, dalla sede territoriale del Kilometro Rosso, sceglie di non intervenire. Ma le critiche non mancano, per esempio da parte del presidente di Confimi Industria Paolo Agnelli: «Siamo indignati, la lettera del presidente Fontana al governo era nata dal solo confronto con Confindustria Lombardia, che in Regione rappresenta solo il 4% delle imprese. Il tutto dopo un appello alla chiusura totale da parte dello stesso presidente e del segretario della Lega Salvini. Già da giorni eravamo favorevoli a uno stop, ma così veniamo lasciati soli. Ora le aziende stanno cercando di arginare le lamentele e le paure dei propri dipendenti, che chiedono perché debbano recarsi al lavoro rischiando il contagio, mentre ai lavoratori del commercio e dei servizi viene impedito: esistono addetti di serie A e di serie B?».
Chiusure volontarie
In molte imprese sono esplose le certificazioni di malattia, anche se non esiste una statistica precisa. La paura è palpabile. E proprio negli uffici di Confindustria al Kilometro Rosso, intanto, si contano le aziende che decidono di chiudere in autonomia. Nella serata di ieri erano circa una trentina, oggi potrebbero essere molte di più, e non è escluso che l’associazione scelga di fare un quadro della situazione.
Mentre per l’edilizia, uno dei settori di cui si è parlato di meno in questa fase («e in cui si lavora spesso in modo ravvicinato», commenta un imprenditore), prende posizione anche l’Ance, legata a Confindustria: «Siamo disponibili a sospendere l’attività nei cantieri, per tutelare i lavoratori e le imprese», dice la presidente Vanessa Pesenti.
Bancari e sindacati
Intanto sul decreto piovono altre critiche. Per esempio dai sindacati dei bancari bergamaschi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin: «Il braccio di ferro istituzionale che ha anticipato l’emanazione del decreto è durato diversi giorni ed è stato, evidentemente, oggetto di forti pressioni da parte delle lobby degli industriali e dei banchieri. In questi giorni abbiamo assistito a interventi organizzativi importanti, con un diffuso utilizzo dello smart working in tempi relativamente brevi, e una riorganizzazione del lavoro nelle filiali. Ma questi sforzi non sono sufficienti e il decreto non basta». Ed è la stessa opinione che in linea più generale mantengono i sindacati: «Si poteva avere più coraggio sulle produzioni non strettamente necessarie — secondo il segretario della Cisl Francesco Corna —. Non sempre, nei luoghi di lavoro, si possono rispettare le distanze minime necessarie. Era più opportuno ragionare su uno stop». «È chiaro, dirò anche una banalità, che non bisogna fermare le aziende che producono mascherine o igienizzanti, ma nell’ultimo provvedimento serviva più coraggio — aggiunge il collega della Cgil Gianni Peracchi —. Dopodiché riconosco che è anche un decreto migliorativo, ma che si può ulteriormente migliorare. Abbiamo chiesto un incontro alla Regione Lombardia».