Addio a Renzo Testa l’arte pubblicitaria
È morto a 85 anni. Aveva lavorato per la concessionaria Manzoni, poi con la Spe e infine la Spm
Se il dolcevita bianco, portato in ogni stagione, è stato la sua cifra stilistica, l’affabilità autentica, non di maniera né di convenienza, è stato il segno deciso con cui ha tratteggiato la sua vita. Sempre a contatto con gli altri, sempre in mezzo alla gente.
Renzo Testa aveva conosciuto il mondo, soprattutto quello bergamasco, attraverso un microcosmo commerciale che si era costruito in oltre mezzo secolo di attività. Da solo, un self made man della pubblicità. Quello che oggi si chiama advertising e che si avvale di strutture complesse ai suoi tempi era un lavoro che si riassumeva in due semplici parole: «vendo pubblicità».
Ma dire che Renzo Testa fosse un semplice venditore di spazi pubblicitari, non sarebbe giusto, anche se, in realtà, ci riusciva benissimo. Le sue giornate in ufficio, prima con la concessionaria Manzodando ni, poi con la Spe e infine la Spm, Società Pubblicità e Media concessionaria de L’Eco di Bergamo, di cui è stato presidente, erano cadenzate da un cronometro di telefonate ed appuntamenti fittissimi. Li segnava sul foglio di un quaderno, zeppo di numeri e nominativi, su cui, una volta chiuso il contratto, tirava una riga.
Il giorno dopo, ripartiva an
a ricontattare chi non aveva risposto il giorno precedente e riempiendo di righe un altro elenco di nomi. Da vero «commerciale» di razza non si fermava mai. E ogni occasione cittadina, dall’inaugurazione di un negozio alla partita dell’Atalanta, era il momento giusto per prendere o riprendere un discorso lasciato in sospeso con qualche potenziale cliente.
Con una naturale predisposizione al rapporto interpersonale, ma anche allo sconto — sapeva instillare nel potenziale inserzionista la convinzione dell’affare «last minute», da non lasciarsi scappare — Testa era capace di vendere ghiaccioli anche al Polo Nord. Se poi «l’imperdibile inserzione» non era andata a buon fine, si restava «amici come prima». Non gli mancavano mai né il saluto, né il sorriso, anche quando gli capitava di incassare un «no, non ci interessa».
La figura di Testa era quella del collaboratore prezioso che ogni azienda avrebbe voluto in organico, per il semplice motivo che credeva nel prodotto che vendeva. Un segreto semplice e potente allo stesso tempo che accompagnava il suo profondo credo nel mondo della carta stampata e delle iniziative editoriali in grado di favorirne la diffusione, grazie all’interattività con il lettore e con il mondo della scuola (ovvero i lettori di domani). Ecco perché, la nascita di ogni nuova testata, come ebbe modo di farci sapere quando arrivò in città nel 2012, il Corriere Bergamo, era una festa. Per lui, la vendita delle pubblicità si accompagnava, arricchendolo, al giornale. Un’implementazione tra due prodotti, quello pubblicitario e quello redazionale che in una pagina si fondevano, senza soluzione di continuità, valorizzandosi l’uno con l’altro.
Testa se ne è andato l’altra notte, a 85 anni (portati benissimo), lasciando nel quartiere di Borgo Santa Caterina, dove era nato e cresciuto, la moglie Franca Stefanelli e cinque figli.
E lasciando in tutti quelli che l’hanno conosciuto il senso di un ultimo annuncio che mai si vorrebbe leggere.