San Francesco, decine i positivi
Protezioni, lo sfogo di due cardiologi della San Francesco: siamo in guerra, chiediamo di difenderci
Alla clinica San Francesco di Bergamo i medici sono la metà: gli altri sono malati. «Siamo in guerra, chiediamo solo le armi»
«Siamo in guerra, chiediamo solo le armi». Fuor di metafora, quelle armi sono i dispositivi di sicurezza. Mancano: a corto di mascherine, va indossata la stessa per una settimana, invece della giornata imposta dai protocolli. Francesco Vattimo, cardiologo, lavora da dieci anni alla clinica San Francesco, in città: un reparto di terapia sub-intensiva non c’era, l’hanno creato. Nei giorni dell’emergenza ci sono finiti anche i dottori: metà di loro, a decine, sono malati, anche gravi, gli altri quattordici sono ancora in prima linea. «Come Dieci piccoli indiani», riassume la collega Elena Perlasca.
Non hanno tempo per le polemiche. Segnalano una carenza che è comune, come dimostra il picco di contagi fra i medici di base, troppi «soldati» sono disarmati. «Facciamo il nostro mestiere in silendale zio — racconta Vattimo —, ma visto il rischio biologico così importante, con tanti colleghi malati gravi o intubati, abbiamo bisogno di maschere, camici, visiere, scafandri. Inizialmente siamo andati al macello, non ci davano i dispositivi, ma la gente continuava ad arrivare». Senza un pronto soccorso, si trattava di smaltire i pazienti dell’ospePapa Giovanni e di quello di Seriate, per alleggerire la pressione. Lo specialista è corso ai ripari, procurandosi i presidi di protezione in Calabria, Molise e persino Canada.
La riconversione bellica che ha riorganizzato i piani (al quinto 16 i ricoverati in terapia ventilatoria, con il «casco» cpap, altri 26 sono in condizioni meno compromesse) ha mobilitato i medici: tutti internisti. Come altrove i turni sfumano, più di dodici ore. Ma oggi il personale è decimato dal virus. «Uno sfacelo — spiega Perlasca —. Citando le direttive regionali, ci dicevano che le mascherine non servivano: è stata una leggerezza. Credo sia stato sottovalutato il problema quando non s’è fatta la zona rossa ad
Alzano e Nembro». Ieri, cercata, non è stato possibile contattare la direzione della clinica.
La crociata non termina in corsia: si trema per la famiglia, tenuta a distanza in quei tre giorni di riposo lungo tre settimane d’inferno. «E se ci ammaliamo i pazienti chi li segue — si commuove la dottoressa —? Stanno malissimo, è scioccante anche per noi. Normalmente le polmoniti le curavamo: questa schifezza si sta portando via un numero di persone allucinante, soffocano mentre sono ancora lucide. È emotivamente massacrante: ti chiedi se magari fra qualche giorno in quel letto ci sarai tu, perché non hai le protezioni». Ma guai a chiamarli eroi. «Senza infermieri e operatori socio-sanitari non serviremmo a nulla».
❞ All’inizio non ci davano i dispositivi ma la gente continuava ad arrivare Il rischio biologico è alto, ci sono colleghi gravi Francesco Vattimo Medico