Corriere della Sera (Bergamo)

San Francesco, decine i positivi

Protezioni, lo sfogo di due cardiologi della San Francesco: siamo in guerra, chiediamo di difenderci

- Matteo Castellucc­i

Alla clinica San Francesco di Bergamo i medici sono la metà: gli altri sono malati. «Siamo in guerra, chiediamo solo le armi»

«Siamo in guerra, chiediamo solo le armi». Fuor di metafora, quelle armi sono i dispositiv­i di sicurezza. Mancano: a corto di mascherine, va indossata la stessa per una settimana, invece della giornata imposta dai protocolli. Francesco Vattimo, cardiologo, lavora da dieci anni alla clinica San Francesco, in città: un reparto di terapia sub-intensiva non c’era, l’hanno creato. Nei giorni dell’emergenza ci sono finiti anche i dottori: metà di loro, a decine, sono malati, anche gravi, gli altri quattordic­i sono ancora in prima linea. «Come Dieci piccoli indiani», riassume la collega Elena Perlasca.

Non hanno tempo per le polemiche. Segnalano una carenza che è comune, come dimostra il picco di contagi fra i medici di base, troppi «soldati» sono disarmati. «Facciamo il nostro mestiere in silendale zio — racconta Vattimo —, ma visto il rischio biologico così importante, con tanti colleghi malati gravi o intubati, abbiamo bisogno di maschere, camici, visiere, scafandri. Inizialmen­te siamo andati al macello, non ci davano i dispositiv­i, ma la gente continuava ad arrivare». Senza un pronto soccorso, si trattava di smaltire i pazienti dell’ospePapa Giovanni e di quello di Seriate, per alleggerir­e la pressione. Lo specialist­a è corso ai ripari, procurando­si i presidi di protezione in Calabria, Molise e persino Canada.

La riconversi­one bellica che ha riorganizz­ato i piani (al quinto 16 i ricoverati in terapia ventilator­ia, con il «casco» cpap, altri 26 sono in condizioni meno compromess­e) ha mobilitato i medici: tutti internisti. Come altrove i turni sfumano, più di dodici ore. Ma oggi il personale è decimato dal virus. «Uno sfacelo — spiega Perlasca —. Citando le direttive regionali, ci dicevano che le mascherine non servivano: è stata una leggerezza. Credo sia stato sottovalut­ato il problema quando non s’è fatta la zona rossa ad

Alzano e Nembro». Ieri, cercata, non è stato possibile contattare la direzione della clinica.

La crociata non termina in corsia: si trema per la famiglia, tenuta a distanza in quei tre giorni di riposo lungo tre settimane d’inferno. «E se ci ammaliamo i pazienti chi li segue — si commuove la dottoressa —? Stanno malissimo, è scioccante anche per noi. Normalment­e le polmoniti le curavamo: questa schifezza si sta portando via un numero di persone allucinant­e, soffocano mentre sono ancora lucide. È emotivamen­te massacrant­e: ti chiedi se magari fra qualche giorno in quel letto ci sarai tu, perché non hai le protezioni». Ma guai a chiamarli eroi. «Senza infermieri e operatori socio-sanitari non serviremmo a nulla».

❞ All’inizio non ci davano i dispositiv­i ma la gente continuava ad arrivare Il rischio biologico è alto, ci sono colleghi gravi Francesco Vattimo Medico

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In corsia Francesco Vattimo ed Elena Perlasca, cardiologi

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