«EROI? DATECI LE MASCHERINE»
La provincia che più di tutte sta lottando contro l’emergenza piange già due medici di base caduti per coronavirus, o meglio per non essere riusciti a proteggersi dal contagio. La punta di un iceberg sommerso, che da settimane lancia vani appelli, culminati in un esposto alla magistratura: «Mancano i dispositivi di sicurezza individuali, rischiamo di essere veicolo del contagio, se ci ammaliamo pure noi chi curerà i nostri malati?». Loro, quelli che chiamano «eroi», e che insieme agli infermieri hanno scelto questo lavoro per passione, restano in prima linea anche se non hanno le mascherine adeguate. Ma fino a che punto lo Stato potrà approfittarsi del loro spirito di sacrificio? Negli ultimi giorni l’Ats (che si sta facendo in quattro per recuperare materiali, anche sui mercati esteri) ha mandato due forniture da 5 mila pezzi ciascuna, ieri altre 10 mila. Una buona notizia? Sì, fossero state mascherine con filtro, Fpp2 o Fpp3 (come quelle distribuite dieci giorni fa da Ats grazie a privati) . Invece sono mascherine chirurgiche, un velo di stoffa che il virus — secondo i medici — può trapassare. Dal decreto del 2 marzo sono state «consentite». Un termine ambiguo, con ogni probabilità dettato dalla pressione contingente. Certo che è consentito andare alla guerra con le fionde, ma se il tuo nemico usa i carrarmati devi saperlo prima di scendere in trincea. «La smettano di chiamarci eroi — ci scrive un giovane medico —. Siamo professionisti, vogliamo solo avere gli strumenti per lavorare».