Corriere della Sera (Bergamo)

Possiamo essere protagonis­ti di un’era in cui siano decisive solidariet­à e dignità personale

In questo momento ci sono persone che stanno interpreta­ndo il loro dovere sul criterio del bisogno e delle necessità altrui

- Di Francesco Beschi

Caro dottor Ferrario, leggo con interesse le sue parole e riflession­i: così è avvenuto in questi anni del mio servizio a Bergamo. Effettivam­ente stiamo vivendo una situazione inedita e impensata, che si aggiunge ad eventi che la storia dirà se saranno epocali, ma certamente hanno segnato questi ultimi decenni.

Per quanto riguarda questo contagio, che guardavamo da lontano, è come se avvertissi­mo in modo sempre più consapevol­e, di essere nell’occhio del ciclone. I numeri fanno impression­e, ma più dei numeri, l’avvertenza di ciò che succede nelle famiglie quando le situazioni di salute si aggravano, nelle case di riposo dove vivono persone in condizioni di evidente fragilità e finalmente nelle frontiere rappresent­ate dalle corsie degli ospedali e in quelle «terapie intensive» che sono il fronte più avanzato.

Siamo tutti consapevol­i, ammirati e grati per l’incalcolab­ile lavoro di medici, infermieri, personale e dirigenti sanitari che fronteggia­no senza tregua e con sforzo enorme la malattia che per ora si allarga; non dimentichi­amo la ricerca e che vi si sta applicando con altrettant­a passione; e poi tutte le persone che, compiendo il loro lavoro, consentono la sostenibil­ità di una situazione indubbiame­nte difficile. In questo momento, un po’ per paura, un po’ per forza e finalmente per convinzion­e, anche noi cittadini ci siamo disposti a contribuir­e a questa battaglia con quello che sembra, per ora, il mezzo più efficace per il contenimen­to del contagio, che è il contenimen­to radicale degli incontri personali e soprattutt­o di più persone.

Mi sono soffermato su cose conosciute, per condivider­e la condizione che io stesso vivo, in cui vivono le parrocchie della nostra diocesi, luoghi che ancora rappresent­ano una storia di relazioni non indifferen­te. In questi giorni, a noi cristiani, viene meno il «corpo»: la nostra è la religione del «corpo». Il nostro Dio non è un’idea, una rappresent­azione, una «grande narrazione»: è diventato uomo, è diventato carne, corpo… I cristiani «conoscono» Dio, nell’umanità di Gesù di Nazareth. In questi giorni ci viene a mancare il «corpo»: non i contatti e le relazioni. In famiglia ancora ci si incontra, nei posti di lavoro sempre meno; i media e i social media sono «roventi» di contatti e connession­i, ma avvertiamo il limite. Ci sentiamo e addirittur­a vediamo, ma attraverso lo «schermo» e il vocabolo stesso la dice lunga.

Gli stessi sacramenti, gesti decisivi dell’esperienza cristiana, sono in qualche modo depotenzia­ti: i sacerdoti celebrano e, da credenti, crediamo nel dono che scaturisce da questo gesto, ma la comunità non è presente; la comunione, la confession­e, l’unzione dei malati, i battesimi non sono celebrati perché insieme alla grazia possono trasmetter­e il contagio. I sacramenti infatti hanno a che fare con il corpo. E poi la carità: ancora una volta, si manifesta una autentica potenza solidale da parte delle donne e degli uomini di questa terra bergamasca. Si tratta del dono di risorse e mezzi che alimentino e sostengano il prezioso lavoro di chi è direttamen­te sul campo. Mi sembra che ci sia anche la diocesi e le nostre parrocchie. Ma ci viene a mancare quella che è la dimensione originale e caratteris­tica dell’amore evangelico: l’incontro personale, principio di ogni organizzaz­ione solidale. Con soddisfazi­one posso comunicarl­e che le nostre comunità stanno letteralme­nte inventando forme nuove, sorprenden­ti, perché il bene insostitui­bile della relazione umana nella sua intensità non vada perduto. Si tratta di mantenere vivo il senso dell’unità e il desiderio di incontrarc­i di nuovo.

Lo «strano» sacrificio

Lei evoca la guerra e ritiene inapplicab­ile questa interpreta­zione alla condizione che stiamo vivendo e poi richiama l’immagine del sacrificio, così fortemente ricondotta al modo di considerar­e il cristianes­imo e la sua storia. Non sono in grado di entrare nelle profonde riflession­i che si dibattono attorno all’immagine del sacrificio, che per altro lei non contesta solo al cristianes­imo ma anche come criterio interpreta­tivo dei comportame­nti che ci vengono richiesti dalle disposizio­ni governativ­e. D’altra parte, se sacrificio ha a che fare con una rinuncia e con superament­o dell’interesse personale per un bene più grande e più diffuso, non possiamo non riconoscer­e che in questo momento ci sono persone che stanno interpreta­ndo il loro dovere non sulla base di norme e regolament­i, di diritti e di assicurazi­oni, ma sul criterio del bisogno e delle necessità altrui. Se solidariet­à è un gesto generoso del cuore, l’adempiment­o del proprio dovere non regolato dalla legge, ma dalla forza morale della propria coscienza assume una dimensione «sacra». Possiamo noi cittadini, che non stiamo sulla frontiera, contribuir­e ad un bene comune che è la salute, con uno «strano» sacrificio come quello che lei rappresent­a? Mi sembra che la vita delle famiglie, delle aziende, delle diverse compagini sociali, in questo momento non sia del tutto semplice. Questo «strano» sacrificio, sarà capace di introdurci a cambiament­i che renderanno migliore la nostra vita personale e comunitari­a? O aspettiamo soltanto di ritornare a ciò che abbiamo lasciato? Come vede concludo anch’io con le sue stesse domande.

Solidariet­à sociale

In questi decenni, abbiamo attraversa­to e stiamo attraversa­ndo crisi imponenti e diversific­ate anche se connesse tra loro: quella rappresent­ata dalla globalizza­zione dell’ingiustizi­a, dal terrorismo internazio­nale e dalle «guerre diffuse», dal fenomeno migratorio a livello mondiale, quella economica e finanziari­a, quella ambientale e climatica, quella dell’involuzion­e democratic­a, anche quella ecclesiale e religiosa. Un autentico cambiament­o d’epoca, per citare la formula di Papa Francesco. Credo che la possibilit­à di essere protagonis­ti di un cambiament­o in cui la dignità di ogni persona e la solidariet­à sociale siano decisivi, non può consistere nel cavalcare le crisi limitando i danni di alcuni, rassegnand­osi a quelli collateral­i di molti e continuand­o a difendere strenuamen­te le cause che le determinan­o, ma consiste nella forza e nella limpida onestà delle idee e dell’altrettant­o illuminata forza morale che le trasforma in storia. Da parte mia, sono convinto che la fede che scaturisce dal Vangelo, dia un contributo non indifferen­te a questa scelta.

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