Possiamo essere protagonisti di un’era in cui siano decisive solidarietà e dignità personale
In questo momento ci sono persone che stanno interpretando il loro dovere sul criterio del bisogno e delle necessità altrui
Caro dottor Ferrario, leggo con interesse le sue parole e riflessioni: così è avvenuto in questi anni del mio servizio a Bergamo. Effettivamente stiamo vivendo una situazione inedita e impensata, che si aggiunge ad eventi che la storia dirà se saranno epocali, ma certamente hanno segnato questi ultimi decenni.
Per quanto riguarda questo contagio, che guardavamo da lontano, è come se avvertissimo in modo sempre più consapevole, di essere nell’occhio del ciclone. I numeri fanno impressione, ma più dei numeri, l’avvertenza di ciò che succede nelle famiglie quando le situazioni di salute si aggravano, nelle case di riposo dove vivono persone in condizioni di evidente fragilità e finalmente nelle frontiere rappresentate dalle corsie degli ospedali e in quelle «terapie intensive» che sono il fronte più avanzato.
Siamo tutti consapevoli, ammirati e grati per l’incalcolabile lavoro di medici, infermieri, personale e dirigenti sanitari che fronteggiano senza tregua e con sforzo enorme la malattia che per ora si allarga; non dimentichiamo la ricerca e che vi si sta applicando con altrettanta passione; e poi tutte le persone che, compiendo il loro lavoro, consentono la sostenibilità di una situazione indubbiamente difficile. In questo momento, un po’ per paura, un po’ per forza e finalmente per convinzione, anche noi cittadini ci siamo disposti a contribuire a questa battaglia con quello che sembra, per ora, il mezzo più efficace per il contenimento del contagio, che è il contenimento radicale degli incontri personali e soprattutto di più persone.
Mi sono soffermato su cose conosciute, per condividere la condizione che io stesso vivo, in cui vivono le parrocchie della nostra diocesi, luoghi che ancora rappresentano una storia di relazioni non indifferente. In questi giorni, a noi cristiani, viene meno il «corpo»: la nostra è la religione del «corpo». Il nostro Dio non è un’idea, una rappresentazione, una «grande narrazione»: è diventato uomo, è diventato carne, corpo… I cristiani «conoscono» Dio, nell’umanità di Gesù di Nazareth. In questi giorni ci viene a mancare il «corpo»: non i contatti e le relazioni. In famiglia ancora ci si incontra, nei posti di lavoro sempre meno; i media e i social media sono «roventi» di contatti e connessioni, ma avvertiamo il limite. Ci sentiamo e addirittura vediamo, ma attraverso lo «schermo» e il vocabolo stesso la dice lunga.
Gli stessi sacramenti, gesti decisivi dell’esperienza cristiana, sono in qualche modo depotenziati: i sacerdoti celebrano e, da credenti, crediamo nel dono che scaturisce da questo gesto, ma la comunità non è presente; la comunione, la confessione, l’unzione dei malati, i battesimi non sono celebrati perché insieme alla grazia possono trasmettere il contagio. I sacramenti infatti hanno a che fare con il corpo. E poi la carità: ancora una volta, si manifesta una autentica potenza solidale da parte delle donne e degli uomini di questa terra bergamasca. Si tratta del dono di risorse e mezzi che alimentino e sostengano il prezioso lavoro di chi è direttamente sul campo. Mi sembra che ci sia anche la diocesi e le nostre parrocchie. Ma ci viene a mancare quella che è la dimensione originale e caratteristica dell’amore evangelico: l’incontro personale, principio di ogni organizzazione solidale. Con soddisfazione posso comunicarle che le nostre comunità stanno letteralmente inventando forme nuove, sorprendenti, perché il bene insostituibile della relazione umana nella sua intensità non vada perduto. Si tratta di mantenere vivo il senso dell’unità e il desiderio di incontrarci di nuovo.
Lo «strano» sacrificio
Lei evoca la guerra e ritiene inapplicabile questa interpretazione alla condizione che stiamo vivendo e poi richiama l’immagine del sacrificio, così fortemente ricondotta al modo di considerare il cristianesimo e la sua storia. Non sono in grado di entrare nelle profonde riflessioni che si dibattono attorno all’immagine del sacrificio, che per altro lei non contesta solo al cristianesimo ma anche come criterio interpretativo dei comportamenti che ci vengono richiesti dalle disposizioni governative. D’altra parte, se sacrificio ha a che fare con una rinuncia e con superamento dell’interesse personale per un bene più grande e più diffuso, non possiamo non riconoscere che in questo momento ci sono persone che stanno interpretando il loro dovere non sulla base di norme e regolamenti, di diritti e di assicurazioni, ma sul criterio del bisogno e delle necessità altrui. Se solidarietà è un gesto generoso del cuore, l’adempimento del proprio dovere non regolato dalla legge, ma dalla forza morale della propria coscienza assume una dimensione «sacra». Possiamo noi cittadini, che non stiamo sulla frontiera, contribuire ad un bene comune che è la salute, con uno «strano» sacrificio come quello che lei rappresenta? Mi sembra che la vita delle famiglie, delle aziende, delle diverse compagini sociali, in questo momento non sia del tutto semplice. Questo «strano» sacrificio, sarà capace di introdurci a cambiamenti che renderanno migliore la nostra vita personale e comunitaria? O aspettiamo soltanto di ritornare a ciò che abbiamo lasciato? Come vede concludo anch’io con le sue stesse domande.
Solidarietà sociale
In questi decenni, abbiamo attraversato e stiamo attraversando crisi imponenti e diversificate anche se connesse tra loro: quella rappresentata dalla globalizzazione dell’ingiustizia, dal terrorismo internazionale e dalle «guerre diffuse», dal fenomeno migratorio a livello mondiale, quella economica e finanziaria, quella ambientale e climatica, quella dell’involuzione democratica, anche quella ecclesiale e religiosa. Un autentico cambiamento d’epoca, per citare la formula di Papa Francesco. Credo che la possibilità di essere protagonisti di un cambiamento in cui la dignità di ogni persona e la solidarietà sociale siano decisivi, non può consistere nel cavalcare le crisi limitando i danni di alcuni, rassegnandosi a quelli collaterali di molti e continuando a difendere strenuamente le cause che le determinano, ma consiste nella forza e nella limpida onestà delle idee e dell’altrettanto illuminata forza morale che le trasforma in storia. Da parte mia, sono convinto che la fede che scaturisce dal Vangelo, dia un contributo non indifferente a questa scelta.