«Il momento più difficile: dare ai parenti un sacchetto con gli oggetti dei loro cari»
In trincea insieme ai medici. A Bergamo sono 7.000 A casa dormono sul divano e ai bimbi raccontano di super eroi mascherati che salvano le persone Il presidente dell’Ordine: negli ospedali siamo il front office In corsia teniamo la mano ai malati, lo chie
«La cosa più straziante è questa, consegnare ai parenti un sacchetto con gli oggetti personali dei loro cari che non ce l’hanno fatta, e accogliere il loro dramma di non averli potuti vedere». Gianluca Solitro è il presidente dell’Ordine degli infermieri di Bergamo (sono 7.000), oltre che di una cooperativa con cento infermieri. È anche il collettore di quotidiani sfoghi, pianti, incoraggiamenti, racconti dei colleghi.
Questo strazio è di un’infermiera che lui ha incontrato l’altra mattina dietro a quella che definisce «frontiera» degli ospedali. «È surreale, entri e ti trovi la collega al bancone del front office, tutta bardata, che chiede a chi entra perché è lì, per tutelarlo. Un tempo l’ospedale, pur con la sofferenza dei malati, era un luogo pieno di gente e di luci, ora i corridoi sono deserti c’è un silenzio strano, l’accesso ai reparti chiuso e sono cambiati anche i percorsi per raggiungerli».
Tutto è cambiato, anche per l’infermiere. «Ora è il parente rimasto ai pazienti, visto che i familiari non possono stargli accanto. L’infermiere da sempre è la persona che passa tra i letti, dà una carezza, fa un sorriso. La nostra professione non è solo essere preparati, ma essere anche capaci di relazionarci con il malato. Ora l’infermiere è un astronauta, bardato, non ha un volto. Gli occhi sì, però. Quelli il paziente li vede, e l’infermiere vede i suoi. La comunicazione diventa inevitaprevale bilmente visiva», rievoca l’immagine il presidente.
Gli occhi, appunto: «I colleghi me l’hanno detto. Il paziente capisce che cosa sta succedendo, ti affida le ultime parole da riferire ai parenti e tu diventi il custode di un messaggio in una bottiglia. Ti chiede: “Mi stringe la mano?” E se anche non lo chiede con la voce, tu lo fai perché si capisce dal suo sguardo che lo desidera. Abbiamo i guanti, lo facciamo».
Ogni infermiere, dopo un’interminabile turno di lavoro, ha tutto il resto. Soprattutto, la famiglia, a casa. «Si vive isolati nell’isolamento. Ho colleghi che dormono sul divano, per non stare troppo accanto al marito o alla moglie — parla per loro il presidente —. In casa si porta la mascherina e ai bambini si racconta la storia del papà o della mamma mascherati da super eroe che aiutano le persone malate, per spiegare perché si sta così. Si riesce e si deve fare, l’etica professionale sulle paure. Certo che ci sono, ci sono anche momenti di scoramento, mi telefonano. Ma alla fine ci si lascia sempre con un incoraggiamento ad andare avanti».
Si ricomincia un altro turno in reparto, nelle Rsa o con l’assistenza a domicilio. «Nelle Rsa e sul territorio, dove le scorte sono scorticine, è ancora peggio, quanto a protezioni. La sicurezza è un diritto, non può essere un optional — rivendica Solitro —. Lo so che non ci sono i presidi, anche i miei fornitori dicono che i capannoni sono vuoti. Ma non è possibile che la produzione di protezioni sia tutta esportata. Il nostro efficiente sistema sanitario lombardo allo stato regge sulla forza delle persone». Forze e persone piegate dalla malattia. «La maggior parte dei 300 operatori sanitari contagiati è composta da infermieri. Alcuni sono a casa, altri ricoverati. L’età non c’entra: ce ne sono di 40 e di 27 anni. Ci si ferma quando c’è la febbre. Forti dolori muscolari, tosse secca, “fame d’aria”, cioè respirare con la bocca aperta per prendere più ossigeno possibile, sono i segnali di forte allarme. Il problema è che anche noi, senza sintomi o con sintomi leggeri, proseguiamo a lavorare e potremmo essere veicolo di contagio. Si sta attenti, ci si protegge con le poche protezioni a disposizione, per il bene degli altri oltre che per il proprio». Anche il carico emotivo è pesante: l’Ordine ha attivato un servizio di supporto psicologico via Skype, già 15 le richieste.
Ora non è il nodo principale, ma tutto questo per uno stipendio «di 1.400 euro al mese. Siamo laureati, abbiamo anche il dottorato. Il professionista infermiere produce e tutela la salute, non produce manufatti che possono uscire dalla produzione più o meno ben fatti, deve garantirlo a tutti. La consapevolezza di questo suo ruolo fondante per la società non può più essere soffocato. Spero che quando tutto questo finirà, degli eroi come viene chiamato ora il personale sanitario, non ci si dimentichi».
Le protezioni sono un diritto, non un optional. Soprattutto nelle Rsa e sul territorio mancano. Spero solo che quando tutto sarà finito non ci si dimentichi di noi
❞ Si lavora così Ci si ferma se c’è febbre ma senza sintomi anche noi possiamo essere veicolo di contagio
Gianluca Solitro Ordine degli Infermieri