L’ufficiale in rosa che cura Alzano
Il tenente colonnello Mancini, 47 anni, romana è in servizio all’ospedale di Alzano: «Un lazzaretto, colpita dalla resilienza di questa popolazione»
Il tenente colonnello Mariarosa Mancini dal 6 marzo è tra gli ufficiali medici in servizio all’ospedale di Alzano: «Un lazzaretto».
Di sé quasi non parla. Il tenente colonnello Mariarosa Mancini, una volta in albergo, riprende gli appunti scritti a penna e racconta i colleghi, gli infermieri, gli oss. «Mi raccomando, non si dimentichi degli oss, senza di loro non andremmo da nessuna parte», ti ripete alla fine della telefonata.
Quarantasette anni, romana, è uno dei medici dell’Arma in servizio all’ospedale di Alzano, cuore dell’epidemia. Sono 6 medici e 8 infermieri tra Carabinieri, Esercito, Marina e Aeronautica. Militari che lavorano fianco a fianco con il personale civile. E sì, Mancini si sofferma anche sui pazienti della «sua» Obi2. Sta per Osservazione breve intensiva, nel suo caso da 23 posti letto su un totale che, ad Alzano, viaggia intorno agli 80, da Terapia sub intensiva e c-pap. Chi si aggrava va altrove. «Siamo arrivati la sera del 6 marzo — racconta — e ad accoglierci c’erano un medico e un’ostetrica. Avevano le mascherine, erano bardati, ma nei loro occhi abbiamo letto la gratitudine. In una situazione così tutto passa dagli sguardi, impari a decifrarli. Ci hanno sistemato nel reparto di Ostetricia, due per stanza finché non abbiamo ottenuto, per ragioni di sicurezza, di avere camere singole». Ora la base è un hotel a Nembro. «La prima cosa fatta dai colleghi dell’Esercito è stata organizzare percorsi filtro con procedure di vestizione e svestizione per isolare i reparti, che sono stati tutti dismessi. Ortopedia, Medicina, Chirurgia e
Oncologia non ci sono più. L’ospedale è tutto dedicato al Covid. È un lazzaretto. La situazione è molto difficile». Le protezioni le hanno portate loro: «Ora siamo abbastanza attrezzati. Le mascherine chirurgiche le metti sopra, non al posto delle altre». Per ogni turno c’è un medico militare e uno civile, lavorano insieme: «Alzano è un piccolo ospedale di provincia, eppure ho trovato tanta laboriosità e capacità professionale. I medici assenti è perché sono intubati, gli atri sono tutti in prima linea. Io ho l’ostetrica che mi fa da infermiera e la cosa bella è che, nell’emergenza, non ci sono più differenze tra civili e militari, medici e oss, persino don Daniele dà una mano a imboccare, a portare il cambio, a fare da tramite con le famiglie». Il distacco è un tema enorme: «Vorrei dire ai parenti di darci fiducia. Quando un paziente sta per andarsene
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chiamiamo il cappellano, fermiamo la nostra attività, lo consoliamo, lo abbracciamo, preghiamo. Mi è capitato tante volte». Si commuove, ma è un attimo. «Ieri è arrivato un uomo abbastanza giovane con tante patologie. L’anestesista ci ha detto di intubarlo subito, altrimenti sarebbe morto. Non ci spiegavamo come si fosse ridotto così. E poi abbiamo scoperto che si prende cura del fratello disabile, che non voleva lasciare. Ho subito chiamato la stazione dei carabinieri, che hanno rintracciato il sindaco». Il paese è Peia e Silvia Bosio ha già attivato i servizi domiciliari: «Stiamo facendo di tutto per non lasciarlo solo e trovare una struttura che lo accolga», assicura. «Facciamo rete con il territorio — riprende Mancini —, riusciamo, collaborando con le caserme, a ricostruire cosa c’è dietro alle situazioni. Mi è capitato anche per una paziente psichiatrica, che non parlava». Poi c’è «la» Maria: «È l’immagine della rivincita della vita. Ha 87 anni, vive da sola ed era in coma. Con la sua grande resilienza, un passo alla volta, ce la sta facendo. Si alimenta da sola e respira bene. Conto di toglierle presto l’ossigeno. E stava per cedere, ma ce l’ha messa tutta per i suoi 4 nipoti. È la capacità di resistere di questa popolazione meravigliosa, composta, seria». Com’era l’ostetrica Ivana Valoti. Lei, a 59 anni, se ne è andata: «Era nella mia Obi ed è stato drammatico. Questa malattia ha un moto ondivago. Sembra che il paziente migliori e poi arriva la crisi respiratoria».
Mancini è specializzata in Medicina legale, da pochi mesi è al Centro nazionale di selezione e reclutamento. Nulla di paragonabile al coronavirus: «Si switcha in un secondo, si studia e ci si dà la possibilità di diventare persone migliori. Io ringrazio l’Arma per avermi dato questa opportunità». E dire che a casa ha un bambino di 7 anni, salutato da un giorno all’altro: «Mi ha detto: mamma, il tuo lavoro è curare le persone, vai ma cerca di non ammalarti».
Militari e civili, lavoriamo insieme. Ai parenti voglio dire che siamo vicini a tutti i pazienti. Maria, 87 anni, era in coma. Un passo alla volta, è migliorata , ora si nutre da sola. È il simbolo della rivincita della vita Mariarosa Mancini carabinieri
I reparti rivoluzionati «L’Esercito ha subito organizzato percorsi filtro e abbiamo portato le protezioni»