IL NOSTRO 11 SETTEMBRE SILENZIOSO
Ai primi di novembre del 2001, nemmeno due mesi dopo il crollo delle Twin Towers, ero a New York . Sul New York Times leggevo sempre la pagina che il giornale dedicava al ricordo delle 2.977 vittime dell’attentato, quattro o cinque al giorno. Raccontavano spesso di vite semplici, fatte di prevedibile quotidianità, di giornate di lavoro, di hobby, di piccoli gesti e grandi vuoti lasciati. Quelle pagine mi sono venute in mente in questi giorni, leggendo i necrologi per l’epidemia a Bergamo. Già il paragone con quella tragedia è terribile, ma colpisce la somiglianza tra queste due Spoon River. Anche le storie che si intuiscono dietro gli estremi saluti affidati da parenti e amici alla carta stampata rivelano vite semplici, tranquille, dignitose nella loro umiltà. Tanto più per chi, bergamasco, sa riconnettere quei cenni a immagini di vita locale. Sembra di vederle le famiglie, i circoli, le bocciofile, le polisportive, le associazioni degli Alpini e quelle della solidarietà, gli amici del bar e dello stadio. Una «normalità» che è il tratto caratteristico, la forza (e talvolta il limite) della nostra indole. Quello starsene lì in un angolo, senza dare fastidio. E senza dare fastidio, andarsene per sempre. Anche accettabile, nel grande gioco della vita. Ma non in queste dimensioni, con questi numeri e con questa angoscia silenziosa.
La triste primavera del 2020 è il nostro 11 settembre.