Dai terremoti all’epidemia
Alla Protezione volontaria civile di Alzano (30 operativi più 11 in addestramento), sono abituati alle catastrofi. Ma stavolta è diverso
Gli uomini della Protezione civile di Alzano sono abituati a lavorare su frane e terremoti. Ora sono di nuovo in prima linea ma contro un nemico invisibile.
Parla delle sue mani, Francesco Rossoni. Sono mani abituate a fare, a preparare attrezzature di soccorso, a scavare, a fermare la terra che frana, ad arginare la acqua che inonda. «Ma adesso — dice — non servono a niente». Il suo credo operativo, che è il motore della Protezione Civile Volontaria (Pvc) di Alzano, una squadra di 30 persone operative e altre 11 in addestramento di cui è presidente da qualche mese, è incanalato su altre azioni. Non ci sono macerie da spostare, case da ricostruire. Solo cuori e menti da rassicurare. A piene mani, Rossoni, 64 anni (ex dipendente della Sip e poi elettricista, ora in pensione e felice nonno) e i suoi uomini si trovano a dover distribuire: «Calma e speranza. È quello che la gente ci chiede quando ci incontra. E noi che siamo abituati a muoverci, a lavorare di fatica, ci troviamo a dover combattere contro qualcosa di invisibile, che tocca e spaventa la nostra terra, la nostra gente».
Non i friulani, a cui Daniele Pesenti, patron della Pigna, nel 1976 corse in aiuto raccogliendo un manipolo di suoi uomini e operai alzanesi («Andiamo, hanno bisogno di aiuto, lo stipendio ve lo pago io», li spronò, accendendo la prima fiammella della Pvc alzanese, la prima in Bergamasca), non i campani del terremoto dell’Irpinia e nemmeno gli abruzzesi de L’Aquila. «Tutta gente che ci è rimasta nel cuore, ma alla quale abbiamo dato l’aiuto che potevamo, quello per cui siamo addestrati — racconta Guido Bacis, 60 anni, altro volontario della Pvc di Alzano — quando sono arrivato ad Onna era tutto distrutto, c’era un’atmosfera spettrale, ma non è la stessa cosa che si respira qui».
Spettrale, ma in un modo diverso, mai visto. Bacis riavvolge il nastro: «Il terremoto lascia devastazione e morte, ma il fenomeno si placa. Da quella montagna di macerie, si può ripartire. È un punto fermo. La pietra che è per terra e che raccogli non cadrà più e chi si è salvato, dopo aver seppellito i morti, si rimbocca le maniche. È vivo e può ricominciare. In questa emergenza è sempre la Natura che si è scatenata, ma ti assale un senso di impotenza, perché se sai che lo sciame sismico prima o poi si fermerà e ti puoi preparare sapendo a cosa vai incontro, non altrettanto puoi dire di questo virus. Non lo vedi, non lo senti. Non puoi salvare nessuno, come invece puoi quando, con le sonde speciali, scandagli le macerie per sentire sotto tonnellate di pietre un cuore che batte o un respiro».
Sono preparati, addestrati a questo gli uomini dalle mani grandi della Pvc, a gestire le situazioni, anche psicologiche, più dure. «Siamo temprati ad affrontare momenti difficili — osserva Bacis — penso alla frana di Camorone di Brembilla in Val Brembana». Un milione di metri cubi che nel 2002 inghiottirono il borgo. «Ti arriva la chiamata in piena notte. Prendi il mezzo e vai sul posto, ti metti a fare e non pensi più. Qui no: non puoi muoverti e pensi in continuazione a cosa dire alla gente che ti chiede, e che aspetta da te una parola di speranza». È una situazione nuova per tutti, ma nella sede alzanese della Pvc, non si molla di un centimetro. Nei giorni scorsi la squadra dei volontari è stata impegnata in qualcosa di concreto, il montaggio dell’ospedale da campo, delle tende in cui si effettua il pre-triage dei pazienti, fuori dall’ospedale Pesenti-Fenaroli. «Quello che ci rasserena in questo momento — continua Rossoni — è il sindaco di Alzano, Camillo Bertocchi, un uomo eccezionale che sta facendo di tutto e di più per la sua gente. Non sa più che cosa inventare per il suo paese. Le locandine che si leggono sulle saracinesche abbassate e che parlano di una riapertura a data da destinarsi, mettono una tristezza senza fine. Noi ci siamo messi a fianco dell’amministrazione per qualsiasi necessità ci venga chiesta, in aiuto alle persone e alle famiglie, ma quello di cui tutti hanno più bisogno è la normalità, perché questa emergenza ci ha cambiato tutti». Rossoni racconta come, terminato il turno e tornato nella sua casa di Colognola, scenda a dare un occhio allo zio ultra ottantenne che abita al piano inferiore della sua casa. La preoccupazione di tutelare gli altri è diventata l’occupazione di Rossoni che per tirarsi su il morale ascolta Pavarotti che canta il «Nessun dorma» della Turandot. «Il coronavirus è un nemico che mi può pugnalare alle spalle, ma quel “Vincerò, vincerò” è, insieme a quello di Mameli, il nostro inno contro la paura. Abbiamo passato di tutto, la storia dell’Italia ce lo dimostra, ma non abbiamo mai mollato.Soprattutto noi bergamaschi che stiamo combattendo in casa nostra, non ci siamo mai piegati. Non succederà neanche questa volta».
Scenario mutato
Le nostre mani sono abituate a scavare tra le macerie. Ora non servono a niente. La gente ci chiede di distribuire calma e speranza
Inno contro la paura
Abbiamo passato di tutto senza mai mollare. Soprattutto noi bergamaschi che stiamo combattendo in casa nostra, non ci siamo mai piegati