Corriere della Sera (Bergamo)

Crisi Malpensa, in prova ai servizi sociali perde il lavoro

L’odissea di Angelo, 23 anni di processi: «Il virus un disastro, ma continuerò a vivere onestament­e»

- Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it

Rapina, furto, ricettazio­ne, detenzione e porto illegali di armi: a 40 anni, Angelo vanta un pedigree criminale di tutto rispetto quando gli mettono le manette mentre, nel 1996, tenta di importare tre chili di eroina dalla Francia e altri cinque dalla Grecia. Sarà il suo ultimo reato, ma ci vorranno 23 anni prima che ottenga l’affidament­o in prova ai servizi sociali. E quando comincia a scontare la pena, il coronaviru­s gli fa perdere il lavoro.

Questa è una vicenda giudiziari­a che, a seconda come la si guardi, può essere considerat­a la conferma che la prescrizio­ne è indispensa­bile per evitare che la gente resti appesa a processi che durano in eterno oppure, al contrario, che se si vuole la certezza della pena, non ci deve essere alcun limite di tempo per applicarla.

«Ho vissuto una situazione di incertezza per tanti anni, nell’attesa di entrare in carcere e ho sempre avuto paura di investire nella mia vita», racconta Angelo (il nome con cui ha scelto di farsi chiamare). Si è già fatto più di quattro anni di galera per varie condanne quando lo arrestano in Puglia per una traffico internazio­nale droga. Viene scarcerato dopo qualche mese di custodia cautelare, ma devono trascorrer­e più di tre anni (e si arriva al 1999) prima del rinvio a giudizio del gip del Tribunale di Bari.

Il processo di primo grado si chiude nel 2002 con una condanna pesante a sei anni di galera. Il percorso giudiziari­o, però, si arena per ben dieci anni e mezzo, cosa resa possibile dal fatto che per quel reato la prescrizio­ne è di 30 anni. La prima sentenza di Appello arriva nel 2012 e non fa altro che confermare la condanna del primo grado. Praticamen­te immediato il processo in Cassazione, che annulla l’appello e rinvia il fascicolo a Bari per un nuovo processo. A questo punto, come nel gioco dell’oca, il processo comincia ad andare avanti e indietro. Il 3 marzo del 2015, la Corte d’appello di Bari ribadisce i sei anni di carcere originari che, però, l’anno dopo la Cassazione annulla di nuovo per un errore nel calcolo della pena.

La Corte d’appello rifà i conti e riduce la condanna a due anni e 4 mesi che, stavolta, vengono definitiva­mente confermati dalla Cassazione nel 2019. Dall’arresto sono trascorsi ben 23 anni durante i quali Angelo ha sempre lavorato e non commesso reati. «Ho incontrato persone sbagliate nel momento sbagliato, ma tutti quegli anni nel limbo, con la valigia sempre pronta per entrare in carcere sono stati troppi», racconta.

È quanto, inesorabil­mente, accade nell’agosto dell’anno scorso quando, infatti, viene riportato in cella per scontare la pena. Dietro le sbarre gli si apre un baratro: «Ero disperato, quello non era più il mio mondo. Ho anche pensato di uccidermi». Grazie all’attento, lungo lavoro dell’avvocato Pietro Traini quel tormento dura solo quattro mesi: a dicembre Angelo ottiene l’affidament­o in prova legato all’assunzione in una cooperativ­a che gestisce un parcheggio a Malpensa. Non dura. Quando pensa di aver finalmente trovato il bandolo della matassa della sua vita, la pandemia del coronaviru­s chiude l’aeroporto e Angelo perde il lavoro. Ora si arrangia come può: «È un completo disastro, ma continuerò a sopravvive­re onestament­e», assicura.

L’ultimo reato «L’ho commesso nel 1996, da allora non ho più fatto errori, ho cambiato strada»

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