«Noi, volontari: così è cambiato il soccorso»
Le notti nelle sedi delle associazioni, aspettando chiamate Si parte coperti per proteggersi dal contagio da Covid-19 «Molti di noi malati. Mascherine: ci aiuta la generosità»
Ormai, nove chiamate su dieci sono per un caso di sospetto Covid. Allora, c’è una precisa vestizione: guanti (due paia), calzari, tuta chiusa fino al collo. Così è cambiato il soccorso. La centrale dell’Areu dà le istruzioni: in casa del paziente entra solo il capo equipaggio, prende i parametri e ritelefona. Qualche decina di volontari è stata contagiata, due sono in ospedale. Soccorrono con la paura addosso di trasmettere il virus ai loro familiari: «Il carico psicologico è pesante».
7 interventi
di soccorso in media in sette ore di turno per i volontari delle varie associazioni, che portano i malati negli ospedali
Suona l’allarme che attiva i soccorsi. Dal pc l’input, per stampare la scheda con le prime informazioni sul paziente, è automatico. Si legge, veloce, poi si corre verso l’ambulanza. Nove volte su dieci è un caso sospetto di coronavirus. La chiamata dell’operatore dalla centrale Areu sul cellulare di servizio lo conferma: «Indossate i dispositivi di protezione — dice la voce dall’altra parte —. Entra in casa solo il capo equipaggio, prende saturazione e febbre, poi mi richiama». È questione di attimi, si i respiri.
Un primo paio di guanti. Calzari sopra le scarpe antinfortunistiche, la tuta in tnt sopra la divisa. La zip chiusa fino in cima. Un secondo paio di guanti. Poi la mascherina e gli occhiali. Le regole per evitare il contagio da Covid-19 sono chiare, da applicare rigorosamente, seguendo un ordine preciso. Il virus respiratorio ha cambiato la tipologia e lo svolgersi dei turni dei volontari del soccorso. Guidate dall’azienda regionale di emergenza urgenza, le varie associazioni in provincia attivano i protocolli più meticolosi per proteggere i propri soccorritori. Non sempre è abbastanza.
«Qualche decina di volontari è stata contagiata, due di loro sono ricoverati — spiega Annibale Lecchi, presidente del Comitato della Croce Rossa Bergamo Hinterland —. Io stesso sono fermo dai turni, non ho febbre, ma malessere e non sento i sapori, potrebbe essere una forma lieve di coronavirus». Manca la certezza che solo il tampone può decretare: «I test sono riservati ai ricoveri — continua il presidente —, starò isolato». Per dare man forte alla Cri sono arrivati quaranta equipaggi dal resto d’Italia: «Alleggeriscono i carichi di turni per i nostri volontari — aggiunge Lecchi —. Si arriva a stare in servizio 12 ore e la tensione è altissima, i soccorritori incontrano i pazienti prima di medici e infermieri».
La prima cosa da fare è far indossare una mascherina a chi ha chiamato il 112. Il coronavirus obbliga a mantenere le distanze, annulla il contatto umano e l’empatia. Dagli occhiali protettivi, che si appannano in continuazione, non traspare nulla: né uno sguardo di conforto, né la paura.
«Abbiamo timore, di ammalarci o di trasmetterlo alle persone care — spiega Francesco Vailati, della Croce Bianca di Bergamo —, ma senza i volontari la situazione sarebbe peggiore di quella attuale. Il carico psicologico è pesante, alcuni dei miei volontari hanno familiari immunodepressi, ma non rinunciano a dare una mano, non escono in emergenza, ma ci sono per pulire i mezzi o stare al centralino». Poi il capitolo macontano scherine: «Mancano anche alle associazioni. La generosità è moltissima, ogni giorno ci arrivano donazioni — aggiunge —. Le spese sono tante: ad ogni turno dobbiamo sanificare l’ambulanza con disinfettanti specifici e buttare via tutti i dispositivi usati».
I codici verdi, quelli per i sintomi meno gravi, sono spariti, gli incidenti stradali anche. Con i codici gialli si evita di accendere le sirene acustiche: «Le strade sono libere — continua Vailati — ed è un’accortezza per non preoccupare ulteriormente i bergamaschi, si sentirebbero continuamente ambulanze». Sette interventi in sette ore di turno, in media, giorno e notte.
Febbre, saturazione, pressione, anamnesi delle patologie pregresse. La tabella dei parametri si compila alla svel
9 chiamate
su dieci ai soccorsi, in questi giorni, riguarda un caso di sospetto coronavirus, e i volontari del soccorso usano protezioni particolari
ta per andare verso il pronto soccorso. Fuori dagli ospedali è una colonna di ambulanze. Medici e infermieri si accertano delle condizioni dei pazienti, poi bisogna aspettare che si liberi un posto letto. Passano ore. Da sotto la bardatura si conta quanto manca perché il filtro delle mascherine perda la sua efficacia, si controlla che la lancetta delle bombole d’ossigeno, somministrato al paziente, non cada mai sul semicerchio rosso.
Ci si sveste, esausti, solo al ritorno in sede, dove tutti i dispositivi vengono buttati via e l’ambulanza disinfettata in ogni angolo. I nomi dei pazienti non si possono comunicare per il rispetto della privacy, ma non si dimenticano. Molti, moltissimi si leggono sui necrologi nei giorni successivi. C’è un senso di impotenza e angoscia. Ma non c’è tempo di fermarsi, non si può. L’allarme suona di nuovo, il pc dà l’input per stampare la scheda: un altro caso di sospetto coronavirus.
❞ Qualche decina di volontari è stata contagiata, due di loro sono ricoverati Annibale Lecchi Presidente Comitato Croce Rossa Bergamo Hinterland
Le paure «Temiamo anche di trasmettere il virus ai nostri cari, il carico psicologico è pesante»