Un mese fa il primo positivo Diario della bomba virale
Il primo caso di coronavirus in provincia di Bergamo viene scoperto all’ospedale di Alzano Lombardo. È domenica mattina, un bel sole. Nel pomeriggio il panico: i positivi sono due ad Alzano, dove il pronto soccorso viene chiuso per alcune ore ma poi riaperto, uno al Papa Giovanni di Bergamo, uno a Seriate. La gente si riversa nei supermercati, temendo una serrata. L’Ats convoca i sindaci bergamaschi in un’affollata sala del Centro congressi. «Il sistema è in condizione di reggere», dice Massimo Giuppponi, dg dell’Ats di Bergamo. Nella serata si registrerà il primo decesso, di un 83enne di Villa di Serio.
26 febbraio 20 positivi, 3 morti
In questo momento, la Bergamasca è zona gialla. Alcuni locali devono chiudere alle 18, i mercati sono sospesi: misure che successivi provvedimenti modificheranno. I numeri crescono lentamente solo in apparenza. Mentre si inizia a parlare di una zona rossa in bassa Val Seriana, parte la campagna per far ripartire Bergamo. Il sindaco Giorgio Gori si fotografa con la moglie mentre mangia una pizza in un noto ristorante di Città Alta. Come lui, molti altri riempiranno i social di immagini di questo genere, messaggi per incoraggiare il rilancio di turismo e commercio.
28 febbraio 103 positivi, 6 morti
Sono i giorni dei video «Bergamo is running» e «Bergamo non si ferma», a imitazione di simili hashtag milanesi. Si punta a riaprire i musei, il sindaco si spende per invitare a tornare nei locali (il coprifuoco alle 18 è stato revocato) e viene lanciata anche una promozione sui biglietti dell’Atb per il weekend. Nelle stesse ore, però, il primario degli Infettivi del Papa Giovanni, Marco Rizzi, durante una conferenza stampa in Regione, scolpisce parole che aprono un capitolo dal quale Bergamo non è ancora uscita: «L’epidemia è cresciuta in modo rapidissimo. I posti letto del nostro reparto non bastano più e anche quelli di Terapia intensiva sono quasi pieni».
3 marzo 372 positivi, 13 morti
I contagi a Nembro e dintorni crescono in modo esponenziale. La zona rossa è al centro di un confronto tra la Regione, che ora la vuole, e il governo. Due notizie colpiscono e spaventano: al Papa Giovanni c’è un neonato ricoverato con il virus, mentre a Parma muore Ivo Cilesi, pedagogista 61enne di Cene, in piena attività fino a pochi giorni prima.
4 marzo 423 positivi, 17 morti
Nella sola Nembro, sono 60 i contagiati. Quando, dieci giorni prima, era stata istituita la zona rossa nel lodigiano, i positivi in Italia erano 76. Eppure i sindaci della zona (Alzano, Nembro, Albino) frenano su provvedimenti più restrittivi, che complicherebbero la vita alle tante aziende del territorio. Al massimo, ipotizzano, si potrebbero istituire limiti per gli anziani e corridoi per il passaggio delle merci. D’altra parte, il presidente di Confindustria Bergamo, Stefano Scaglia, in un’intervista al Corriere (il 2 marzo) chiede di «cambiare il tono del racconto» perché, parlando di export, «quest’immagine dell’Italia sotto scacco virus penalizza il nostro interscambio».
6 marzo 623 positivi, 43 morti
Risultano positivi al tampone questore, prefetta e direttore generale dell’ospedale. L’ipotesi di zona rossa in Val Seriana è sempre più concreta: 300 uomini di polizia, carabinieri ed esercito sono pronti a istituire posti di blocco.
7 marzo 761 positivi, 46 morti
È sabato, c’è il sole, molta gente ha avuto una settimana difficile, tra scuole chiuse e paura del futuro: si riversano a migliaia sulle piste da sci delle Orobie. L’affollamento agli impianti è benzina per il virus. Come ormai d’abitudine, in tarda serata il premier Giuseppe Conte annuncia misure più restrittive per tutta la Lombardia e alcune altre province. Niente zona rossa.
10 marzo 1.472 positivi, 116 morti
Tutta l’Italia è ormai in quarantena, Bergamo è deserta e ammutolita. Un grande striscione compare su un cantiere e diventerà un simbolo, dice: «Bergamo mola mia!». Gli ospedali sono in grande difficoltà, come i medici di base che denunciano la mancanza di organizzazione e di mascherine, camici, occhiali. L’Atalanta gioca a porte chiuse a Valencia, vince 3-4 e si qualifica ai quarti di Champions che forse non giocherà mai: i bergamaschi festeggiano nelle case. Il 35% dello staff del Valencia risulterà poi infettato dal virus.
13 marzo 2.368 positivi, 191 morti
Muore lo storico sindaco leghista di Cene, Giorgio Valoti, a Bergamo il virus uccide il pediatra e politico Carlo Zavaritt. Come la tela di Guernica, ogni angolo della provincia rivela un orrore: anziani che muoiono soli nelle case di riposo, oltre 100 medici di base contagiati, onoranze funebri in grande difficoltà e bare allineate nella chiesa del cimitero di Bergamo in attesa di sepoltura. La cosa più spaventosa sono però i numeri: i decessi legati all’epidemia, secondo i registri dei Comuni, risultano ben al di là delle cifre ufficiali. Il confronto con l’era pre coronavirus è incredibile: tra il 9 e l’11 marzo 2019 in città erano morte 23 persone, negli stessi giorni del 2020 se ne contano 128. Parte una grande onda di solidarietà: migliaia di cittadini donano agli ospedali, come pure aziende e banche, trainati da volti noti come i giocatori dell’Atalanta.
17 marzo 3.993 positivi, 460 morti
È il giorno dell’Unità d’Italia, qualche tricolore sventola alle finestre delle case, ma Bergamo è una città che si sente sola. Viene annunciato un ospedale da campo alla Fiera, ma servono medici e attrezzature ancora da reperire. Muore Mario Giovita, medico di base di Caprino Bergamasco.
18 marzo 4.305 positivi, 553 morti
Un’altra giornata durissima si chiude con un’immagine che è il simbolo di questo mese. Da un balcone di via Borgo Palazzo viene scattata una foto alla colonna di camion militari che porta 65 vittime nelle bare ad essere cremate in Emilia Romagna. Una brutta foto, sgranata, storta, dritta come una coltellata al cuore di tutti i bergamaschi che se la rimbalzano sui social. Nelle case, la notte passa insonne per molti.
23 marzo 6.471 positivi 1.176 morti
Dopo la salita da brividi, da due giorni la curva dei contagi rallenta. I morti sono comunque sempre molti. La morte di don Fausto Resmini segna profondamente l’anima solidale di Bergamo e dice, una volta ancora, che niente sarà più come prima.