Il mese più lungo
I primi casi di Covid-19 in provincia il 23 febbraio Da lì l’inizio del periodo più buio nella storia recente di Bergamo: tra errori e sprazzi di speranza
Bisogna prendere i giornali delle ultime settimane, sfogliarli pagina per pagina, guardare bene i numeri pubblicati, le parole pronunciate, le immagini. Ed è così che si mette un po’ di ordine, nella propria mente, su quello che è accaduto a Bergamo nell’ultimo mese. E quando si è messo un po’ di ordine, non ci si crede. La densità dei fatti, e di fatti così gravi, la velocità degli eventi che si svolgono nell’immobilismo apparente delle vite chiuse in casa. Come in un libro scritto male, i protagonisti, che devono prendere decisioni per salvare centinaia di vite, sbagliano puntualmente modi e tempi delle scelte. Ma questo non è un libro, questa è la realtà che stanno vivendo 1 milione e 200 mila bergamaschi: c’è chi sta male, c’è chi ha paura di star male, c’è chi è piegato dalla morte di un parente o di un amico, c’è chi ha paura del futuro dopo la pandemia. Un futuro cui si è pensato fin troppo, temendo le ricadute sull’economia, nella fase in cui si sarebbero potute anticipare misure drastiche ed efficaci. Perché Bergamo, inconsapevolmente, era già peggio del Lodigiano giorni prima della zona rossa. Eppure qui la zona rossa non si è mai fatta. Perché? Pressioni economiche dal territorio e incapacità decisionale a livello centrale hanno sicuramente pesato. Non si potrà evitare di indagare su quello che è stato. Ma prima bisogna uscirne, gli ospedali sono tutt’ora dei lazzaretti, i medici e gli infermieri sono distrutti dal peso fisico e psicologico di quello che hanno sopportato in un mese, in attesa di rinforzi che arriveranno quando forse il peggio sarà già passato. Bisogna ripercorrerle tutte, le tappe cruciali di questa discesa all’inferno. Proprio per poter ricominciare a pensare al futuro, a partire da ora, perché finalmente in questi giorni i numeri sembrano prospettare un’ipotesi di tregua.