Corriere della Sera (Bergamo)

Riscopriam­o il suono del silenzio

«Prima c’era solo rumore. Ora sento l’acqua di una fontanella lontana e il gracchiare delle cornacchie»

- Di Cesare Picco

Mia madre è una ragazza di ottantasei anni che mi telefona verso sera raccontand­omi le sue giornate. Ieri mi diceva di una lettura che la stava appassiona­ndo, «La condizione umana» di Malraux. «Titolo più che mai azzeccato in queste ore, mamma». Ascoltavo la sua voce e mi sentivo bene, sapendo che quella frequenza mi accompagna da ben prima che appoggiass­i i miei piedini su questo strambo mondo. Ascoltare suoni amici ci fa stare bene, il potere dei suoni in cui viviamo è forte e non è mai da sottovalut­are: pensateci e ascoltate oltre la vostra finestra.

«Per chi vive come te in campagna, mamma, è cambiato quasi nulla, ma il suono di Milano si è rivoltato come un calzino». Prima le strade erano come quando l’orchestra accorda prima che entri il direttore, un delirio bello e buono. Ora è come se vivessimo allungando all’infinito quel momento di silenziosa attesa che precede il rumore di passi del solista che sta entrando sul palco.

In questa straniante quarantena, i suoni ci possono fare regali inaspettat­i, suoni sempre esistiti ma dei quali ignoravamo l’esistenza. Mi appoggio alla finestra di casa e mi accorgo di sentire l’acqua che scende da una fontanella comunale che dista almeno cinquanta metri in linea d’aria; poi l’abbaiare lontano di cani e il gracchiare prepotente e petulante di due cornacchie che sembrano litigare per il parcheggio su un albero; le campane di una chiesa di cui ignoravo l’esistenza. «Giuro, mamma, non le avevo mai sentite prima, eppure vivo qui da venti anni». E poi quel suono che in questi giorni ti prende alla gola per poi scendere giù fino al cuore e stringerte­lo in un pugno: il suono delle ambulanze che tagliano Milano, mai così tante volte in un giorno solo, mai suono così nitido e paralizzan­te come ora.

quale suono mi paralizzav­a da bambina?», mi dice. «Quello degli stivali dei nazisti che salivano le scale di casa. Per non parlare del tonfo delle porte tirate giù a calci».

Le rispondo allora che il suono è anche la cura e basta a esempio ascoltare la musica dei veri grandi per capirlo in un battito di ciglia. «Sai cosa ci sta regalando questo momento assurdo, mamma? Il suono del silenzio, quello che disintossi­ca, ripulisce, rigenera, quel suono che contiene tutti i suoni annullando­li».

All’ora del tramonto mi siedo sul balcone, ho scoperto di avere una vecchia sedia dipinta di azzurro che non utilizzavo da anni. Niente libri o cellulare a portata di mano, solo un bicchiere di vino rosso. Incrocio le gambe, ascolto e guardo: una signora stira ascoltando le ultime notizie del Tg, le risate di due ragazze che chattano su di un terrazzino qualche piano sotto il mio, un pensionato che annaffia i fiori, una coppia appoggiata alla ringhiera che muove le gambe al passo di un ritmo caraibico. Ci guardiamo un po’ tutti, a turno, qualche sorriso. E penso. Penso al suono di quella fila di camion dell’esercito a Bergamo, penso alle urla di chi non ha più po«Sai tuto salutare i propri cari, alle lacrime dei medici in prima linea. Che suoni hanno il rispetto, la rinuncia, l’attesa e la rinascita? Se c’è un momento nel quale potremmo scoprirlo è proprio questo, quando siamo obbligati a fermarci e ad ascoltare e guardare il mondo con altri occhi. Fermiamoci,

La sveglia «Ogni mattina alle 4.45 aspetto la voce di un uccellino che per primo dà il buongiorno a Milano»

approfitti­amone.

Ogni mattina alle quattro e quarantaci­nque ho preso l’abitudine di attendere la voce di un uccellino che vive sugli alberi davanti a camera mia. E’ sempre lui a cantare prima di tutti, li frega tutti i suoi compagni. Ormai riconosco quel gradasso dal petto gonfio, è lui che dà il buongiorno a tutta Milano.

 ??  ?? Improvvisa­tore Cesare Picco, 50 anni, nato a Vercelli e naturalizz­ato milanese (foto di Ray Tarantino)
Improvvisa­tore Cesare Picco, 50 anni, nato a Vercelli e naturalizz­ato milanese (foto di Ray Tarantino)

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