I parenti dei positivi Diecimila sorvegliati
La referente: i nomi sono passati da 800 a 200 al giorno e si ricostruiscono i contatti solo delle ultime 48 ore La lista dalla Regione dopo i test è sempre più in ritardo
Mario, 67 anni, pensionato della Valle Seriana, è stato dimesso dall’ospedale di Monza. Positivo, sta meglio. Un operatore dell’Ats gli telefona per ricostruire i suoi contatti stretti, a cui raccomandare la quarantena di 14 giorni: «Sento sua moglie parlare in sottofondo. In casa dovete stare divisi, finché il doppio tampone negativo non stabilirà che lei è guarito». Mario rassicura che stanno a due metri di distanza, dormono in stanze separate e usano due bagni diversi. «Per pulire, mia moglie mette la mascherina», pensa di rassicurare.
Invece non basta. L’operatore gli raccomanda di stare in camera, di pulire lui i suoi spazi e che la moglie lasci i pasti fuori dalla porta. Non ci sarà una guardia a controllare, il resto dipende della buona volontà del singolo. Dopo l’emergenza in corsia, la priorità è spezzare la catena dei contagi. Chiamare i contatti stretti dei positivi (certificati dal tampone, quindi solo i ricoverati) è compito dell’Ats, ma in tempo reale non si riesce. Dagli esiti dei test alla trasmissione dei nomi passano almeno due o tre giorni: la lista arrivata ieri, per esempio, conteneva quelli del 30 marzo. Al Dipartimento di Prevenzione, in Borgo Palazzo, la dottoressa Lucia Antonioli e il dottor Massimo Giannetta sono i riferimenti. L’ultimo report indica 10.778 persone chiamate: 9.770 hanno già terminato la quarantena, il 98% era senza sintomi. «Gli ospedali trasmettono i dati alla Regione e la Regione trasmette a noi un file quotidiano con gli esiti dei tamponi positivi — spiega Antonioli —. Qui vengono ripuliti dai doppioni e distribuiti a 82 operatori, si lavora anche sabato e domenica. Siamo al 90% dei nominativi che dobbiamo contattare». Smistato il lavoro, parte quella che Giannetta definisce «inchiesta» con un questionario telefonico. Le circolari del ministero sono cambiate più volte.
«All’inizio si ricostruivano i contatti fino a 14 giorni prima dell’inizio dei sintomi, ora di 48 ore — sempre la dottoressa —. Prima si chiamavano le persone tutti i 14 giorni della quarantena, poi il primo e l’ultimo giorno, ora solo il primo indicando quando termina il periodo». La lista è il termometro di un ridimensionamento: «Se i primi tempi era anche di 800 persone al giorno, ora è di 200-300 — indica Antonioli —. Si ha anche la percezione che le persone abbiano ridotto i contatti. In uno dei primi casi, erano stati venti per una stessa persona, per una cena». Magari non conoscono i dettagli delle regole, ma diversi si sono già chiusi in casa: «Molti hanno bisogno di parlare e quando li informi del supporto psicologico ti dicono che lo desiderano — ha notato la dottoressa—. Non è sempre facile, soprattutto chiamare le famiglie dei defunti».
In Borgo Palazzo, lunedì è partito il servizio dei tamponi di controllo, su chiamata. Al dipartimento, il telefono continua a squillare. Un medico del Sud chiama per avvisare che un suo paziente rientrato dall’estero (va comunicato) è a Bergamo, dove ha la seconda casa. Una nipote, che ha perso la nonna il 23 febbraio e ha un cugino grave, ha qualche sintomo ma non è nella lista dei contatti perché alla nonna non era stato fatto il tampone. Da ieri c’è un medico in più: Marco Moneda, di Passirano, 34 anni, laurea in odontoiatria, laurea in medicina e specialistica in medicina della prevenzione. A casa, ha moglie e bimba di tre mesi: «Si dorme separati, per forza».