Le carezze ai tablet Così Maria ha scoperto che il marito è vivo
Croce Rossa e Gavazzeni, le videochiamate
Per trenta giorni ha pensato che il marito, malato anche lui di Covid-19 e ricoverato in un altro ospedale, fosse morto. Il figlio le aveva mandato dei messaggi ma Maria (nome di fantasia, ndr), sotto il casco per l’ossigeno e senza occhiali, quelle rassicurazioni non le aveva mai lette.
Così, quando l’altro giorno, durante la videochiamata a casa, si è sentita dire che il coniuge «si sta riprendendo», quasi non ci credeva. È scoppiata a piangere. E ha commentato: «Allora posso farcela anch’io». Battista, invece, non riesce ancora a parlare ma anche lui, alla vista della figlia e della nipotina dopo 45 giorni, non ha trattenuto le lacrime. Quasi tutti si commuovono. Alcuni, soprattutto se anziani, accarezzano il tablet, lo avvicinano al viso. Sono racconti colmi di sofferenza ma anche di sollievo quelli che riportano Alessandra Tolotti, dipendente della Croce Rossa Bergamo Hinterland, ed Erik Perego, risk manager di Humanitas Gavazzeni. Da lunedì 30 marzo, con altri due volontari della Croce Rossa, attraversano i corridoi delle Gavazzeni, entrano in Terapia intensiva (ampliata da 12 a 33 posti) e nei 7 reparti Covid. Armati di tuta, occhiali, mascherina, guanti e quattro tablet sanificati (donati dalla MediaWorld di Curno), individuano fra le 230 persone ricoverate quelle che, a causa del casco per l’ossigeno, non posso né sentire i suoni né indossare gli occhiali. O ancora chi è ricoverato da più tempo o chi, a causa dell’età, non ha il telefonino o non sa usarlo.
«Il nuovo servizio, partito grazie alla collaborazione con la Croce Rossa Bergamo Hinterland, è già stato sperimentato da 25 malati — spiega Perego —. Grazie ai volontari e ai dipendenti che si aggiungeranno, vorremmo estenderlo a tutti i degenti bisognosi. Va a integrare le telefonate quotidiane che i medici già fanno ai parenti per aggiornarli sullo stato di salute dei loro cari».
Quando non si riesce a organizzare la videochiamata, si prova a inviare un videomessaggio. In altri casi, basta un po’ di calore: «Un ammalato — racconta Perego — ci ha mostrato le foto della moglie deceduta, dei figli, dei nipoti. Non si dava pace per la perdita». Le emozioni non mancano nemmeno per gli operatori: «Nascondo le lacrime sotto la maschera e gli occhiali. Solo a fine giornata mi lascio andare — rivela Tolotti che in questo periodo è impegnata 24 ore su 24 —. Stacco al 118 e corro in ospedale, dalle 16 alle 19 circa. Psicologicamente è dura, ma questa attività riesce a regalarmi sensazioni positive. Le uniche che danno la forza per andare avanti».