Maledetta corsa
In un’atmosfera di un’altra epoca la cronaca del Gran premio che costò la vita a Ronnie Peterson Le penalità a Villeneuve e Andretti regalarono la vittoria a Niki Lauda
Quest’anno Gilles Villeneuve avrebbe 70 anni e sarebbe a pescare sul fiume Richelieu, in Québec. Niki Lauda, il «campione» di allora, dal 1º agosto 1976 stava vivendo una seconda vita iniziata al Nürburgring e finita un anno fa. Mario Andretti, nato su una rupe carsica dell’Istria, ha compiuto in questi giorni 80 anni a Bushkill Township, in Pennsylvania. Poi, quel giorno, su quella scena, c’erano James Hunt — l’inglese sciupafemmine che aveva sottratto il titolo a Lauda per colpa dell’acquazzone in Giappone — e il miglior italiano, Riccardo Patrese. Poi c’era lui, lo svedese Ronnie Peterson.
Dunque, siamo a Monza, è il 10 settembre del 1978. Il Parco deve la sua fama a Maria Teresa d’Austria che ci spedì l’architetto di corte Giuseppe Piermarini a costruirci la Villa, poi passata ai francesi. Il circuito, con la sua parabolica e le curve di Lesmo, fu inaugurato nel 1922 e, dopo Indianapolis, è il più antico del mondo ancora in uso.
I pullman svuotano dal primo mattino eserciti di ragazzi — magliettina, jeans a zampa d’elefante, capelli lunghi un po’ beat, qualcuno porta la chitarra — al confine del Parco, che tutti attraversano a piedi per entrare dai cancelli e sistemarsi nel posto-prato o in tribunetta. L’attesa è massima. Lauda aveva lasciato la Ferrari dopo il secondo mondiale e pilotava una BrabhamAlfa Romeo che, in fondo, era la macchina di casa (Alfa = Anonima Lombarda Fabbrica Automobili). Molti tifavano per lui. Ma c’era un altro che conquistava i cuori, Gilles l’Aviatore, sulla rossa n.12. Si attende la loro sfida all’interno di un’altra sfida, quella tra Andretti e Peterson sulla Lotus che si giocano il titolo mondiale.
Quello che accadde lo vedono solo, e da lontano, quelli della Tribuna centrale. Non ci sono ancora i telefonini, non ci sono nemmeno i televisori montati sui tubi Innocenti che reggono le tribunette. Tutti gli spettatori disposti lungo le undici curve e i 5.793 metri del percorso osservano passare solo una volta una breve fila di macchine. Poi più nulla. «Che è successo?». Fumo, dicono che ci sia del fumo, ma per vederlo dipende da dove si è posizionati. Da Lesmo non si vede; altrove dipende dalle piante.
Sì, è successo qualcosa. Anni dopo, secondo la versione ufficiale il «via» era stato dato quando le vetture nelle ultime file non erano ancora allineate, generando un imbottigliamento alla prima curva, dove uno scarto improvviso della McLaren di Hunt causò una carambola fatale che coinvolse gli italiani Brambilla, Patrese e altri. L’auto di Brambilla (per lui trauma cranico) andò a sbattere contro quella di Peterson, estratto dalla sua Lotus in fiamme, trasportato nell’infermeria «con le gambe spezzate», si diceva, e poi a Niguarda. Allora — non sono così tanti anni, ma è già un’altra epoca, pionieristica — si sgombrò la pista, la si ripulì e si diede una nuova partenza. Andretti e Villeneuve tagliarono il traguardo primo e secondo; ma poi si seppe che furono penalizzati di un minuto per partenza anticipata, venendo retrocessi al sesto e settimo posto.
La vittoria andò a Lauda e fu il suo 17mo successo, precedendo John Watson e il ferrarista, Carlos Reutemann. La graduatoria apparve sui giornali il giorno dopo mentre, alle 11, a Niguarda, Peterson moriva: aveva una bimba di due anni. Emerson Fittipaldi disse: «La F1 ha chiuso con Monza». Bernie Ecclestone, patron della F1 e oggi 89enne in attesa di un figlio, chiese di «non correre più a Monza». Il decesso di Peterson laureò matematicamente Andretti campione del Mondo. Per rivincere un mondiale, Lauda avrebbe atteso anni, un ritiro e un ritorno in F1. Villeneuve non ne vinse mai.