Settimane per un’intervista al generale, poi la sorpresa: arrivano 65 righe in cirillico
E a ogni telefonata ripetevano: non si parla di politica
Non capita tutti i giorni di ricevere un messaggio che inizia con «года для оказания помощи в борьбе с распространением
коронавирусной». Perché non capita spesso di cercare di intervistare un generale di brigata dell’esercito russo. Sergej Grigorievich Kikot, comandante del contingente russo a Bergamo, è un tipo massiccio, ti guarda attraverso gli occhiali con la calma di quella volta che è andato al tribunale dell’Aja a spiegare che il presidente siriano Assad non usa le armi chimiche contro i civili. Ma non deve gradire molto dover rispondere a delle domande.
Poca trasparenza
«Dalla Russia con amore», c’è scritto sui camion che i russi si sono portati appresso per lavorare all’ospedale da campo e sanificare le case di riposo. Amore per il lavoro sicuramente, quello per la trasparenza un po’ meno. Prima organizzano una conferenza stampa all’ultimo momento con inviti a casaccio e divieto di fare domande, poi, nonostante i quindici interpreti e gli addetti stampa che ogni giorno spediscono cinque video a Mosca, calano la cortina di ferro.
Prima volta in Italia
Sarebbe bello chiedere al generale che effetto fa comandare la prima colonna di militari russi mai entrata in Italia, cosa pensa delle ripercussioni della sua spedizione sugli equilibri della Nato, del peso politico della decisione di Putin di inviarlo a Bergamo e delle polemiche sulla reale efficacia del suo intervento. I medici e i tecnici si fanno intervistare solo premettendo che «non si parla di politica». Per arrivare al generale si chiama l’ambasciata, si telefona al consolato, si scrive al ministero della Difesa a Mosca, dal quale subito dopo la signorina Irina inizia a spedire video in cui Bergamo è scritto
Бергамо, con gente che applaude dai balconi e direttori di case di riposo che ringraziano per l’intervento. Si arriva infine a un interprete che chiede di mandare domande scritte.
Tattica dell’assedio
Ma una volta ricevuta la email sparisce, non risponde più a chiamate, messaggi e posta. Solo quando si applica la tattica di telefonare dieci volte di seguito si viene richiamati da un addetto dell’ambasciata che promette le risposte. Nel frattempo sono trascorsi dodici giorni e tante cose sono cambiate, però bisogna accontentarsi.
Infine ecco la tanto agognata «intervista»: 65 righe in cirillico in cui si ripetono cose già dette e già scritte. E il resto? Ah, ma nemmeno il generale non parla di politica. Grazie tante. Anzi: spasibo.
Quindici interpreti e addetti stampa spedivano a Mosca i video delle imprese