Porte chiuse e sanificazioni Martedì tornano le udienze
Ricciardi, la voce della categoria durante i giorni bui «La paura di morire e quelle mail ad Ats e Regione» La prima circolare: salme non contagiose. Poi, il cambio
Potrebbero bastare le immagini rimaste nello smartphone. Bare e barelle sistemate nella palestra del Policlinico di Ponte San Pietro, anche le seconde usate per i defunti. La chiesa del cimitero di Bergamo trasformata in obitorio. E poi le tumulazioni da inviare ai parenti. L’unico rimpianto è «di non avere scattato fotografie per tutti».
Mascherine introvabili
Quella di Stefano Ricciardi, durante l’emergenza Covid, è stata la voce delle pompe funebri, che rappresenta per la Lia. È presidente del Centro funerario bergamasco, consorzio che dal 2018 copre circa il 25% dei servizi in provincia. Sono stati 1.389 nel 2019. Quest’anno, fino a marzo 1.083. Nella sede di Bonate Sotto della sua agenzia, la RicciardiCorna, ha vissuto due mesi: «Auto quarantena per tutelare la mia famiglia». Ora può dire di avere fatto la cosa giusta. «Ci siamo sottoposti ai test sierologici, l’85% del nostro gruppo (45 addetti, ha avuto il virus, me compreso». Il tampone, negativo, lo aveva già fatto, «quando abbiamo minacciato di sospendere il servizio per un giorno e a quel punto grazie all’Ats siamo stati inseriti nelle categorie a rischio». Sono arrivate due forniture di mascherine. Certo, tardi. «C’è stata una settimana in cui non si trovavano. Usavo sempre la stessa, ci mettevo queste garzine».
Le direttive aggiustate
Ma al di là della caccia alle protezioni, il caos è stato sui protocolli per il trattamento delle salme. Dal pc Ricciardi pesca sia dalla posta in arrivo sia da quella inviata. Nella prirenti. ma ci sono le indicazioni ricevute da Ats e Regione, a cominciare da quella del 2 marzo in cui il direttore del Welfare Luigi Caiazzo comunicava che, con il decesso, non c’è più pericolo di contagio. Dunque, «precauzioni standard», è stata la direttiva. Le agenzie hanno proseguito con le vestizioni e a frequentare reparti, Rsa, abitazioni. «Ho vestito l’ultima salma la notte del 13 marzo. Mi è rimasto impresso l’odore di alcol: in quella casa avevano disinfettato ovunque». La mail di Caiazzo ha subito sollevato perplessità, «anche perché l’ospedale Papa Giovanni aveva subito introdotto regole più rigide». Lo aveva fatto presente ad Ats. «La risposta è stata che loro dovevano attenersi alle circolari regionali». In quei giorni di super lavoro Ricciardi si sfogava con i colleghi anche sul tema dei contatti con i pa«Possiamo documentare — scriveva — la presenza dei famigliari nelle camere mortuarie degli ospedali, non sempre muniti delle necessarie protezioni, il rilascio di autorizzazioni al trasporto a cassa aperta di defunti deceduti con coronavirus verso abitazioni, chiesine, sale oratoriali e case funerarie. Amici, parenti, conoscenti e compaesani vanno a consolare i famigliari, consapevoli dell’impossibilità a partecipare ai funerali. Follia». In quella lettera aveva spiegato anche cosa andava fatto secondo lui, considerazioni condivise con il direttore del Welfare, il 6 marzo: «L’assenza di una procedura chiara e univoca per la gestione di persone decedute positive, sospette e anche per quelle negative al Covid-19, è una falla nel sistema di contenimento», evidenziava. È del 12 marzo la delibera della Regione che cambia tutto. A quel punto l’ordine è stato di soprassedere alla vestizione, di avvolgere le salme «nel lenzuolo imbevuto di soluzione disinfettante», di arieggiare i locali, di evitare «espressioni di affetto» verso i defunti e usare «mascherina, occhiali protettivi, camice monouso idrorepellente, guanti spessi e scarpe da lavoro chiuse». Il decreto del primo aprile ha poi aggiunto altri divieti, fra cui i trasporti a cassa aperta.
Le polemiche sui costi
Ripensando alla foto delle barelle, Ricciardi ricorda le borse vicino ai defunti, «alcuni telefonini squillavano. Mi sforzo sempre di essere professionale, ma ho pianto e per la prima volta ho avuto paura di morire». Si dice «amareggiato» per le polemiche legate ai loro costi. Ricorda che il trasporto di Esercito e carabinieri è escluso «e se qualcuno se l’è fatto pagare siamo i primi a condannare», che sono i forni a decidere i prezzi e che loro cercano di offrire un servizio anticipando le spese, «anche delle tasse che alcuni comuni pretendono». A Seriate sono 80 euro, a Ponte nulla, Bergamo e Treviglio, 54 e 34 euro ma chiesti solo per chi viene sepolto altrove.
Nembro, il primo picco
Nembro è stata una spia. Stefano Barcella, 46 anni, in campo da quando ne aveva 16, fuori dal cimitero di Scanzorosciate ieri ha consegnato le ceneri di defunti di marzo. «Sono quasi tutti rientrati, ma le famiglie spesso sono in quarantena». La sua società già a gennaio aveva effettuato 25 servizi: la media è di 11. «Da fine febbraio è stata un’escalation. Io credo di essermi ammalato in quel periodo, ero stato da uno dei primi defunti Covid e sentivo i brividi». Saluta il braccio destro di Beppe Vavassori, il collega salvato in Germania. Anche il padre e lo zio di Roberta Caprini, della Caprini-Generali, si sono ammalati gravemente. Un loro operaio non ce l’ha fatta. «Ci sono stati giorni che a metà mattina avevamo già ricevuto 50 telefonate, sembrava di essere in un girone infernale», dice Caprini. Oltre alle famiglie con più lutti, le è rimasta impressa una coppia di Torre Boldone: «C’era un’anziana agonizzante, in un primo momento l’ho creduta morta. Invece la badante mi aveva chiamato per il marito. Lei l’ha seguito tre giorni dopo».
Tra le famiglie «Ho vestito l’ultimo defunto il 13 marzo, ricordo il forte odore di alcol in quella casa»