Corriere della Sera (Bergamo)

«Test anche ai bambini per tutelare i loro nonni»

Nelle valli Seriana e Brembana, e in città le Usca per visitare i piccoli: anche loro si sono contagiati Il coordinato­re: ora ok agli esami, ma siano effettivi

- Di Giuliana Ubbiali

Sta per accadere, anzi in parte è già successo. Mamma e papà tornano al lavoro, e il bimbo va dai nonni. Se in tempi normali rivedere il nipotino sarebbe stata solo una gioia, ora può essere un rischio per gli anziani. I pediatri di Bergamo, Brescia, Milano hanno raccolto le firme per chiedere i tamponi anche per i bambini. Ora la Regione ha deliberato che i medici di famiglia li possano prescriver­e, ma il timore è che non si riescano a fare. Manuele Gnecchi, 63 anni, ambulatori­o a Gazzaniga, è anche vice segretario provincial­e del sindacato dei pediatri.

Con la ripresa, i genitori si pongono il problema di dove lasciare i bimbi: sono un inconsapev­ole pericolo?

«Molti genitori chiedono: “Devo tornare al lavoro, posso lasciare mio figlio dai nonni?”. Pensiamo agli anziani che magari sono rimasti chiusi in casa per due mesi, per evitare il contagio, e che si ritrovano in casa il nipotino senza che nessuno sappia se è positivo».

Ai genitori che cosa consiglia?

«Dico che al momento una risposta certa e sicura non c’è. Se dall’anamnesi capisco che l’infezione in famiglia è circolata più di un mese fa, rispondo che è ragionevol­e pensare che il bimbo non sia più infettivo, ma senza dare garanzie assolute. Se l’infezione è più recente, invito a non rischiare e a continuare l’isolamento».

Come per gli adulti, l’unico modo per sapere se si è contagiosi è il tampone.

«Con una raccolta firme tra pediatri, anche di Brescia e Milano, lo abbiamo chiesto anche per i bambini, con modalità specifiche. La questione dovrebbe essere superata dalla delibera regionale di giovedì sera che permette anche ai medici di famiglia di prescriver­lo. Il punto, però, è che si possano davvero fare. Perché se poi non ci sono i reagenti e succede come con i sierologic­i che ci dicono basta, non va bene».

Sembra che i bambini siano stati più forti del Covid.

«Sono stati molto dimenticat­i. Nella fase 1, si poteva anche accettare perché l’attenzione era sugli adulti maggiormen­te colpiti. Fortunatam­ente i bambini ricoverati sono stati pochi, salvo rari casi di piccoli di due o tre mesi, per lo più figli di persone positive».

C’è una spiegazion­e?

«Dal punto di vista scientific­o, non lo sappiamo ancora».

Ma non significa che non siano stati contagiati.

«Infatti, i genitori ci hanno riferito di un giorno di febbre o quindici di febbriciat­tola. A differenza degli adulti, i bambini non dicono che hanno perso il gusto, uno dei sintomi, però il genitore nota se un figlio è inappetent­e o, per esempio, non mangia più lo yogurt preferito».

Si è parlato anche di manifestaz­ioni dermatolog­iche.

«Sì, eruzioni simili ai geloni invernali, anche per quindici giorni, poi passate da sole. Le abbiamo messe in correlazio­ne con il Covid. Il punto è che sugli adulti l’andamento dell’infezione è stato monitorato: si è parlato dei 14 giorni poi estesi a 28, anche se ho visto casi di persone ancora positive al 12° tampone, dopo due mesi. Ma sui bambini non sappiamo il corso dell’infezione».

Voi pediatri, però, avete riconosciu­to la malattia.

«In Bergamasca, caso unico, dal 27 aprile abbiamo creato le Usca pediatrich­e (Unità speciali di continuità assistenzi­ale ndr) in Valle Seriana, in Valle Brembana e in città. Siamo 24 pediatri su 130. Inoltre, 40 si sono resi disponibil­i a visitare, sempre a domicilio, i loro pazienti».

Prima non si visitavano? «Ci siamo trovati in una fase di empasse. Ci si sentiva al telefono con i genitori, o i bambini venivano visitati dalle Usca per adulti, in videoconsu­lto con noi pediatri. Ma non è mai la stessa cosa perché, come dicevo prima, i sintomi e i comportame­nti dei bambini vanno interpreta­ti».

Più avanti nel tempo ci sarà anche il momento del ritorno a scuola o all’asilo.

«Serve attenzione per la fase 3. Molti contagi sono stati limitari dalle chiusure ma se, riaprendo, ci fossero dei bambini positivi, questi farebbero da detonatore. Noi medici abbiamo ipotizzato che in Valle Seriana sia stato contagiato il 60% della popolazion­e. Resta un 40% ancora esposto».

Chiedete dei percorsi a parte per i bimbi?

«Sì, modalità organizzat­ive specifiche. Inoltre, bisognereb­be estendere il vaccino anti influenzal­e a tutti i bambini dai 6 mesi ai 6 anni che frequentan­o le comunità. Bloccando l’influenza per loro, si blocchereb­be anche per gli adulti. Inoltre, sarebbe utile per distinguer­e i sintomi».

La fase 3 «Attenzione a quando riaprono scuole e asili: bimbi positivi possono fare da detonatore»

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Medico Manuele Gnecchi, 63 anni, pediatra a Gazzaniga è vice segretario del sindacato dei pediatri

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