Chiappani è procuratore «Covid, ricostruire i fatti»
Bresciano, arriva da Lecco, unanimità del Csm «Dalle Rsa ad Alzano, serve ricostruire i fatti Sulle eventuali colpe il nodo del nesso di causalità»
La strage di Piazza della Loggia, il sequestro Soffiantini, gli attentati di Mumbay, Tangentopoli. Voluto all’unanimità dal plenum del Consiglio superiore della magistratura, Antonio Chiappani, 66 anni, di Orzinuovi, arriva da Lecco alla guida della procura di Bergamo con un bagaglio di indagini corpose. Ma anche in un momento delicato, con le inchieste legate al coronavirus.
Lei arriva a Bergamo, duramente colpita dal Covid, con delle indagini in corso. Rsa, ospedale di Alzano, protezioni: crede ci siano delle priorità?
«Sarebbe imprudente rispondere, perché ancora non conosco i contenuti delle indagini. Più in generale, la priorità è il diritto della cittadinanza di sapere che cosa sia successo». É un impegno che si prende come procuratore?
«Fa parte dei buoni propositi. Compatibilmente con le possibilità, il prima possibile vanno ricostruiti i fatti. Dalle Rsa all’ospedale di Alzano, le situazioni sono varie, è importante che la gente sappia. Poi si faranno i conti e si valuteranno eventuali responsabilità. Lo spettro delle problematiche è ampio. Questa emergenza è costata e costerà molto, non solo in termini di vittime, ma anche alla società più ampia. Pensiamo, per esempio, alle malattie professionali dei medici e infermieri ai risarcimenti».
La cittadinanza si aspetta sempre che la magistratura compia dei passi, ma capita che le aspettative si scontrino con le questioni giuridiche. Si è parlato a lungo dello scudo penale, cosa ne pensa?
«La procura generale della Cassazione ci ha mandato dei questionari per chiedere il nostro parere. É un discorso complesso. Un conto è se lo scudo penale sia per salvare i medici o per salvare chi ha dato le direttive. Diventa anche una questione di scelte politiche e della loro giudicabilità.
Dal punto di vista giudiziario, la grossa problematica è il nesso di causalità, per esempio, tra i decessi e la mancanza di protezioni o le direttive. Comunque, non c’è solo la giustizia penale».
Questa pandemia ha coinvolto tutti, in modo più o meno grave, senza guardare in faccia alla professione e allo stato economico. Stavolta, non è un problema solo di qualcun altro. «Lo so bene, mi ha riguardato da vicino».
Cioè?
«Mia moglie è stata ricoverata per quindici giorni e sono rimasto in quarantena. Lei all’ospedale di Crema, dove lavorava come direttrice sanitaria e dove è stata curata benissimo, ora va tutto bene. Questa esperienza mi ha dato la possibilità di vedere che cosa significhi questo virus. Io stesso, come cittadino, vorrei sapere».
Parlando da cittadino, non da magistrato, che cosa vorrebbe sapere?
«C’è stata una forte ospedalizzazione, quindi significa che qualcosa sul territorio non ha funzionato. Così come vediamo tutti che i tamponi non vengono effettuati in modo diffuso. Poi, allo stato, non posso dire se questo sia un discorso da indagine penale o da analisi della situazione sanitaria».
Bergamo è una città di incroci, per lei. Il procuratore Walter Mapelli aveva retto la procura di Lecco prima di lei.
«Essere il nuovo procuratore di Bergamo, dopo Mapelli, è per me un onore ma anche un onere. Conosco Maria Cristina Rota, per alcune indagini che ha condotto quando ero all’Antimafia, a Brescia. A Bergamo, c’è il sostituto procuratore Nicola Preteroti che è cresciuto a Lecco, qui con me. E il comandante dell’Accademia della guardia di finanza era comandante provinciale a Brescia».
Mapelli aveva «il pallino» dei reati fiscali e dei sequestri. Colpire dove fa più male: soldi e beni. É un approccio che condivide?
«In questi anni mi sono occupato di economia, fallimenti, diritto tributario. É una materia a cui sono particolarmente sensibile quindi, sì, la linea dettata va continuata».
Ma è giusto parlare di «pallino» o è la naturale conseguenza dell’evoluzione della criminalità?
«La criminalità segue tutto ciò che porta ai soldi, dalle più grezze fatture false a reati più complessi anche di natura associativa».
Più volte si è parlato della carenza di personale, è un problema che dovrà affrontare.
«Ovunque, su questo argomento c’è un muro del pianto».
Ma si piange troppo o si piange a ragion veduta?
«Qui a Lecco, su venti amministrativi ne sono andati in pensione tre. Non sono stati sostituiti, ma il carico di lavoro, comprese le richieste di statistiche a livello centrale, non è diminuito. C’è un problema di tempi dei concorsi, delle graduatorie, di attese che gli esiti non vengano contestati. Così manca il ricambio generazionale con forti ripercussioni: pensiamo anche solo al diverso approccio che avrebbe un giovane all’informatizzazione».