Corriere della Sera (Bergamo)

«Coronaviru­s? La tv non è riuscita a reinventar­si»

Roberta Petrelluzz­i, la signora di Raitre Da Sarnico a «Un giorno in pretura»

- F.Fumagalli

Nella sua casa romana, a poche ore dalla messa in onda di «Un giorno in pretura», Roberta Petrelluzz­i sta leggendo un romanzo «molto bello» («Il treno dei bambini» di Viola Ardone, Giulio Einaudi editore). E racconta della sua infanzia bergamasca, come fosse un romanzo: «Vengo da un piccolo mondo, antico e raffinato. Mio padre, medico di Adrara e Sarnico, girava a cavallo in compagnia di due levrieri».

Signora Petrelluzz­i, lei è nata ad Adrara San Martino. È stata bambina a Sarnico e a Bergamo.

«Mi sono trasferita presto a Sarnico. Ho fatto le scuole medie in collegio, in Città Alta. Poi il liceo a Genova, l’università a Milano. Ora vivo a Roma da quasi cinquant’anni. Appartengo a una generazion­e che si è sempre sentita cittadina del mondo».

La sua famiglia?

«Mio padre veniva dalla Liguria. Mamma, figlia dell’avvocato Faccanoni di Sarnico, a diciannove anni perse la testa per lui. I miei genitori si sono separati presto. Papà era un uomo molto traditore».

Di bergamasco, cosa si è portata a Roma?

«Oggi, Bergamo mi sembra una terra lontana. Lì non ho più affetti, i miei parenti sono morti. Anche la mia tata da bambina, per me una vice mamma, non c’è più. Ma ci sono ricordi che resteranno sempre. Gli elegantiss­imi motoscafi Riva sul lago d’Iseo. La polenta e il salame, meraviglio­si. Non parlo il dialetto, ma lo comprendo ancora. Quando ho visto per la prima volta “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi capivo ogni parola, senza bisogno di sottotitol­i. Mi sembrava di conoscere una lingua straniera, ero fiera di me (ride, ndr). E poi, i bergamasch­i ovviamente. Fortissimi».

Continui…

«Gente che non molla. I bergamasch­i sono lavoratori accaniti. Non si fermano a riflettere, non si arrestano davanti a niente. Nemmeno di fronte al coronaviru­s. Questa è una forza e insieme una debolezza».

Con la sua trasmissio­ne «Un giorno in pretura», ha seguito molti processi. Pensa che alla fine dell’epidemia, eventuali responsabi­lità si discuteran­no in tribunale?

«Sicurament­e sì. Le colpe ci sono, non c’è dubbio. Per le Rsa sono state fatte scelte micidiali. E perché così tanti morti in Lombardia? Penso sarà difficile individuar­e i responsabi­li. Ma occorre fare il mea culpa».

Come conduttric­e, autrice e regista, lei lavora in Rai da tanti anni. In che modo si è comportata la television­e, durante il difficile periodo di lockdown?

«Sono molto perplessa. È capitato un fatto imprevedib­ile e non siamo stati in grado di inventare formule diverse. Non ne abbiamo avuto la forza. Molti hanno preferito chiudere o rimandare le trasmissio­ni. La scelta più facile».

A «Un giorno in pretura» però, non è successo. Dal 3 maggio, siete tornati (su Rai 3, la domenica in prima serata).

«Siamo partiti in ritardo di due settimane rispetto alla data prestabili­ta. Uno slittament­o che ci ha consentito di prepararci anche meglio. In un primo momento abbiamo provato spavento. Poi siamo stati bravi a reagire e a confeziona­re le nuove puntate. Ma qui a Roma, la paura del virus si è percepita meno rispetto al Nord del Paese, a città come Milano e Bergamo».

Torna mai nei posti della sua infanzia?

«Dall’ultima volta è passato un po’ di tempo. Ero stata invitata dal parroco di Sarnico, per celebrare l’8 marzo. Divertente! In paese, mi hanno accolta come se fossi un’autorità. Ma io non sono mica Gina Lollobrigi­da (commenta divertita, ndr)».

Quest’ultimo non è un riferiment­o casuale, perché l’attrice Gina Lollobrigi­da è stata protagonis­ta della prima puntata della nuova edizione di «Un giorno in pretura», tra i più longevi della tv italiana: va in onda da 32 anni.

L'emergenza «Sicurament­e le colpe ci sono, ma sarà difficile individuar­e i responsabi­li»

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Conduttric­e Roberta Petrelluzz­i vive a Roma ma è cresciuta in Bergamasca

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