Il carcere sarà intitolato a don Fausto
C’è l’annuncio del ministro sulla proposta del Pd. La direttrice: «Un regalo»
Il carcere di Bergamo non ha mai avuto un nome. A meno di due mesi dalla sua morte, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede annuncia che sarà intitolato a don Fausto Resmini, che per più di trent’anni ne è stato il cappellano: «Non appena la situazione sanitaria lo permetterà, verrò in visita».
La prima ad avere avuto l’idea era stata Catia Ortolani, una delle insegnanti che fa scuola ai detenuti. Don Fausto era morto la notte prima e, quando ancora a tutti sembrava impossibile che il coronavirus si fosse portato via anche lui, proprio lui, aveva lanciato la proposta in un messaggio alla direttrice Teresa Mazzotta. I deputati del Pd Elena Carnevali e Maurizio Martina se ne sono fatti promotori subito e, in meno di due mesi, ecco l’annuncio. Il carcere di Bergamo porterà il nome di don Fausto Resmini, che per più di trent’anni ne è stato il cappellano, a volere dire poco. Lo sottolinea anche il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che ha reso ufficiale la decisione con una lettera diffusa ieri: «Don Fausto Resmini era più che un semplice cappellano: era un vero punto di riferimento per la comunità di Bergamo. Non appena la situazione sanitaria lo permetterà — annuncia il ministro pentastellato —, voglio visitare personalmente Bergamo e l’istituto per esprimere vicinanza agli agenti e a tutti gli operatori. Mi piace pensare che questo, seppure semplice, atto sia un modo per fare continuare a vivere l’esempio di don Fausto».
A riprova di cosa abbia rappresentato il sacerdote, 67 anni, morto all’ospedale di Como tra il 22 e 23 marzo, il ministro cita il messaggio che un’agente della polizia penitenziaria aveva letto durante il toccante saluto organizzato nel cortile della sezione penale, quando dalle celle anche i detenuti avevano fatto sentire la loro voce: «Ciao don Fausto», gli avevano urlato. Manca a tutti, racconta la direttrice Mazzotta: «Ai detenuti, alla polizia penitenziaria, alle famiglie degli uni e degli altri, perché spesso faceva da ponte. E perché, per gli agenti, aveva celebrato matrimoni, nascite, funerali. A me personalmente manca nella quotidianità il suo sorriso, quando ogni mattina si affacciava alla porta del mio ufficio e si sedeva alla scrivania. Ora ho una fotografia con il suo sorriso ed è come se mi aspettassi di rivederlo comparire. Mi parlava di alcuni casi, io di altri. Ci confrontavamo sui progetti, che con lui si realizzavano». In sospeso, fra gli altri, è rimasto il corso di apicoltura negli spazi di Sorisole: «Lo faremo e la comunità continuerà a sostenerci per le messe alla prova e gli incontri tra i detenuti e i loro bambini». Quanto all’intitolazione: «Sono veramente, veramente contenta — dice Mazzotta —. È stato un coro unico e concorde ed è un regalo. Siamo profondamente convinti che non potesse rimanere solo un ricordo interiore, ma che si dovesse andare oltre. In questo modo resterà in eterno».
Il carcere, finora, uno nome non l’aveva mai avuto. Una soddisfazione anche per Carnevali, legata a don Fausto da una lunga amicizia, e per Martina, testimone «della forza che ha avuto la sua esperienza». Alla Don Milani, don Dario Acquaroli ha raccolto il testimone con i collaboratori più stretti: «Procediamo insieme — spiega il sacerdote —. Era impossibile trovare
«Era la sua casa» la gioia della comunità di Sorisole: procediamo insieme come lui avrebbe voluto
un’unica figura che facesse tutto quello che faceva don Fausto ed era ciò che lui stesso aveva immaginato. Accogliamo la notizia dell’intitolazione con gioia enorme. Il carcere era la sua casa».