La fisioterapia per ricominciare
La mamma che non riusciva a scrivere alla figlia, il trentenne che faticava a riprendersi, persone col Covid aiutate dai fisioterapisti volontari a ripartire dai piccoli movimenti.
Gli sarà difficile dimenticarsene. Si capisce da come il discorso ad un tratto si interrompa. È stata la prima paziente che Paolo Valli ha visto all’ospedale da campo, in Fiera. Una signora di 52 anni che stringeva il cellulare, voleva scrivere alla figlia ma non riusciva a muovere le mani. È uno degli effetti dei giorni in un letto della terapia intensiva e del Covid stesso.
«Ho preso il telefono e ho scritto per lei il messaggio». Valli, 47 anni, è un fisioterapista e ad aprile in una manciata di giorni aveva chiamato a raccolta una settantina di colleghi. Per questioni di assicurazioni hanno potuto essere operativi in 35 (a titolo gratuito), all’ospedale da campo, e ai Covid hotel Winter Garden di Grassobbio e Bes di Mozzo con i pazienti dimessi ma in quarantena. Con l’emergenza in discesa, gli alberghi stanno chiudendo. Invece, all’ospedale da campo la fisiotaskforce, come si sono ribattezzati, ha terminato la scorsa settimana «a malincuore, per questioni burocratiche», accenna Valli. Oltre non va, nel discorso, preferisce parlare di fisioterapia.
Portata la vita fuori dall’ospedale, il paziente deve imparare di nuovo a stare seduto, in piedi, camminare, stringere gli oggetti. Ritrovare quella normalità che è diventata un’impresa con addosso settimane di ricovero, debolezza e dieci chili in meno. Ospedale e hotel sono due momenti successivi l’uno all’altro, i pazienti hanno difficoltà di recupero diverse. «Nell’ospedale da campo abbiamo lavorato in tutti e tre i moduli: la terapia intensiva, la sub intensiva, l’area critica di degenza — ricapitola Valli —. Nella prima si trattava di mettere il paziente su un fianco o su un altro, e di controllare che prono fosse ben posizionato. Bastano un’ora o due di eccessiva pressione perché si formino le piaghe da decubito. Lì, la mobilitazione è passiva. Nella sub intensiva, invece, si coinvolge il paziente nei movimenti. Nella degenza, si comincia con gli esercizi respiratori e per riattivare la muscolatura. Lo scopo è che, da allettato, riesca a mettersi seduto, in piedi e poi a camminare». Per tutti, è come se il fisico dovesse ricominciare daccapo. «È l’effetto dell’immobilità ma anche del virus stesso, che crea un’infiammazione sistemica che interessa il sistema vascolare e può interessare il sistema nervoso anche periferico — spiega il fisioterapista —. Si arriva ad avere difficoltà anche a muovere mani e piedi».
In hotel sono arrivati pazienti stabilizzati e senza febbre. Quasi guariti, dal Covid, ma non dai segni che il virus ha lasciato. Non tutti nello stesso modo e non solo per una questione di età. «Abbiamo creato piccoli gruppi omogenei per esercizi di riattivazione motoria e respiratoria. Comunque, tutti hanno un forte senso di debolezza fisica, qualcuno anche con la fatica a mettersi in piedi, e non respirano come prima. Quelli con maggiori difficoltà sono stati seguiti singolarmente, in camera». Un trentenne l’ha particolarmente colpito: «Era stato intubato, era molto provato». Una volta dimessi, gli ospiti si sono portati i compiti a casa. Parentesi, per la signora del telefonino la fisioterapia è proseguita a domicilio: «Non sarebbe stata ancora autosufficiente e avrebbe avuto bisogno di una struttura di riabilitazione, che non c’era. Uno di noi va da lei tutti i giorni».