La mia squadra rosa
Nadia Righi guida un team di 7 donne al Diocesano «È un posto speciale: ogni mattina mi commuovo passando davanti alla Via Crucis di Fontana»
Non è scontato che un museo voluto dal beato cardinale Schuster, poi sostenuto dal futuro Paolo VI e dal cardinale Carlo Maria Martini, sia guidato da un team tutto rosa. La Chiesa non brilla per femminismo, eppure da tre anni a capo del museo Diocesano c’è Nadia Righi, affiancata da altre due storiche dell’arte.
Come ci è arrivata? «Dopo la laurea e la scuola di specializzazione ho fatto un colloquio con Paolo Biscottini che era stato incaricato di aprire il museo. Era il 1999 e abbiamo messo insieme le opere per la collezione permanente. Avevo concluso uno stage al Louvre, ma è da lui che ho imparato veramente. Quando poi, nel 2001, il Diocesano ha aperto sono stata nominata conservatrice e tre anni fa direttore, quando Biscottini ha lasciato». La vostra è una squadra di donne: come mai?
«Sì, siamo otto dipendenti tutte donne. Prima la storia dell’arte era molto maschile, ma nell’infornata di studentesse del mio giro in tante sono rimaste in sovrintendenza, nei musei, nelle università. È andata bene. Ho la sensazione che a noi donne più che il protagonismo interessi fare bene, magari dietro le quinte, ma con passione e cura».
Come e quando riaprirà il museo?
«A giugno. Prorogheremo la mostra “Gauguin, Matisse e Chagall”, con i capolavori dei musei vaticani. Vorremmo usare anche il chiostro perché ci permetterebbe l’apertura serale: chiostro e museo sono un traino reciproco e offrono la possibilità di passare una serata in un luogo bello e di cultura».
Come avete tenuto i contatti con il pubblico in questi mesi?
«Abbiamo iniziato come tutti postando immagini e brevi video sui social. Ma ci mancava il contatto con il pubblico che noi siamo abituati ad accogliere come a casa. Allora abbiamo inventato degli approfondimenti su Zoom. Ormai abbiamo 500 persone che si collegano ogni settimana a gruppi di massimo 90 per volta perché ci piace vedere ognuno in faccia e interagire con le domande».
Non c’è modo per i musei di guadagnare col web?
«Veramente, visto il successo degli approfondimenti, abbiamo proposto anche visite a pagamento per dare alle nostre guide un’occasione di lavorare. Stanno andando benissimo: ogni iniziativa va sempre esaurita con gruppi di 40 persone, tanto che abbiamo dovuto raddoppiarle. Il pubblico partecipa anche nelle chat e i commenti sono di bellissimo tipo: questo è un regalo che aspettiamo tutte le settimane. Alla fine capisci che l’arte è qualcosa che davvero riesce a sollevare lo sguardo e che il museo ha una funzione sociale».
Qual è il pezzo più curioso che avete?
«Tutti i visitatori restano incantati dalla colomba eucaristica, un oggetto di oreficeria medievale decorato con smalti, su cui nel Medio Evo veniva posizionata l’eucarestia: a vederla sembra quasi un giocattolo, un uccello meccanico».
E il suo preferito?
«Fino a qualche anno fa avrei detto il San Francesco del Bergognone perché c’è un momento in cui il pittore che stai studiando conta più del fidanzato. Ora mi piace molto la via crucis di Lucio Fontana salvata da Biscottini in un istituto religioso: sarebbe stata dispersa, ma lui la fece notificare dalla Sovrintendenza. Alla fine l’acquistò la Regione Lombardia che l’ha depositata presso il nostro museo. Ogni mattina, quando ci passo davanti per andare in ufficio, mi spalanca il cuore».
A giugno prorogheremo la mostra «Gauguin, Matisse e Chagall», con i capolavori del Vaticano