La serie diventa «social» e casalinga
Il regista Michele Di Mauro: «Si chiama “Mezz’ora prima” perché precede il cult “La casa di carta”»
Tredici attori, tutti pressoché giovani e certamente bravi, e la sceneggiatrice Stefania Bertola hanno postato, ciascuno sulla propria pagina Facebook, un micro film di 23 minuti, intitolato «Mezz’ora prima», una follia che ha del metodo. L’idea è di Michele Di Mauro che nel forzato riposo per il teatro si è inventato l’episodio pilota di una possibile serie «social» da condividere, in cui ogni personaggio ha a che fare con il mondo dello spettacolo. Non cinema nel cinema, ma piccolo schermo nel piccolissimo schermo, perché ognuno ha girato un contributo col computer o con il telefonino e poi Di Mauro ha condotto le operazioni di rifinitura, montaggio e regia. «Si chiama “Mezz’ora prima”», spiega, «perché per trovare un comun divisore tutto avviene nella mezz’ora prima che inizi la quarta stagione della “Casa di carta” di cui molti di noi sono assidui fruitori. Per me queste clip, cui se ne aggiungeranno altre, sono un esercizio per non bloccare pensiero, creazione e studio, proseguimento di un’esperienza di appuntamenti quotidiani video poetici fatta con Federica Fracassi. Una convivenza nella latitanza che prevede molti registri e registi, perché ognuno ha avuto piena libertà di scelta».
E la Fracassi è naturalmente della partita, nei panni di una agente dello spettacolo: «Volevamo da tempo lavorare insieme, io e Michele, e così abbiamo trovato l’occasione, un corto che parte dalle nostre case, dalle nostre vite, dal nostro gusto e i nostri mezzi: smartphone, computer, tablet, videocamere. All’inizio eravamo un gruppo di sole donne, tra cui la brava e giovane Matilde Vigna, poi ciascuno ha coinvolto i congiunti e tutti abbiamo lavorato con le nostre modalità tecnico espressive, senza rinunciare a qualche improvvisazione. Speriamo possa essere l’inizio di una vera e propria serie con attori casalinghi: il mio personaggio mi è stato ispirato anche dalla serie francese “Chiami il mio agente”».
Nel marasma organizzato di questa mezz’ora scarsa, c’è spazio per la maschera di Arlecchino, per una psicologa molto sui generis che si presenta in vasca con schiuma come le dive anni 30 (una irresistibile Sara Bertelà), un avvocato che si occupa di cinema, Mariangela Granelli. «Mi ha intrigato — spiega — perché ho scoperto di avere con lei delle affinità legali. Mi piace questa esperienza collettiva in cui ciascuno mantiene una singolarità, non vedo l’ora di girare gli altri focus e di difendere la mia amica Fracassi». «In effetti — dice il regista — sembra il prologo di una serie, con pillole di 8-10 minuti in cui riuniamo alcuni dei personaggi e i legami tra loro: in attesa che si torni a teatro siamo tutti pazienti della psicanalista Sara. Non vogliamo drammatizzare, ma sorridere». Un esercizio d’arte, dicono, senza l’assillo del prodotto e la paura del risultato.