Zona rossa, le indagini e lo scontro
Le note dell’Iss e i continui rinvii a marzo. Carretta: «Ma la Regione la chiese?». Belotti: «Si rivolga al Pd»
Secondo il consigliere regionale bergamasco di Civici, lombardi, europeisti, Niccolò Carretta, la procuratrice di Bergamo Maria Cristina Rota non ha aggiunto elementi nuovi dicendo che spettava al governo decidere sulla zona rossa. «Ma la Regione la chiese? — dice Carretta —. Altrimenti anche Fontana sarebbe responsabile». Parole che hanno scatenato l’ira dei leghisti e in particolare del deputato Daniele Belotti: «Si rivolga ai deputati del Pd per capire come si erano mossi rispetto al governo». Tre mesi dopo la mancata zona rossa a Nembro Alzano, i paesi più colpiti sicuramente nella prima fase dell’emergenza, fa ancora molto discutere. Ecco una ricostruzione di quei giorni e le note del 3 e del 5 marzo con cui gli esperti di sanità suggerivano al governo di adottare il provvedimento proprio per i due paesi della Val Seriana. Ma non se ne fece nulla.
Doveva farla il governo, vero. Lo sapevamo dalla fine di febbraio, quando una decisione sull’istituzione della zona rossa in Val Seriana, almeno guardando le cronache, i bergamaschi la attendevano da Roma, com’era successo per Codogno. Ma poi si sa, la politica italiana è maestra nel gettare fumo negli occhi e lo stesso assessore regionale al Welfare Giulio Gallera ha ammesso poco più di un mese fa che in effetti anche Palazzo Lombardia avrebbe potuto far leva su una legge per decidere di far scattare i divieti. E allora perché non l’ha fatta? Domanda posta ieri dal ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia, dopo l’uscita del procuratore aggiunto di Bergamo Maria Cristina Rota, che ha detto: «Da quel che ci risulta è una decisione del governo». Così è, o di sicuro così sembrava, in quei giorni concitati tra fine febbraio e inizio marzo: era passata solo una settimana, o poco più, da quando la zona rossa era stata istituita a Codogno, praticamente 24 ore dopo la scoperta del paziente 1 e 48 prima dei tamponi positivi ad Alzano. Ma tant’è, tre mesi dopo non se ne esce e la politica, come spesso le capita, si arrovella attorno alle dichiarazioni di un magistrato: mai una volta, invece, in cui quella stessa politica si dimostri capace di un’operazione verità, almeno di fronte ai numeri, spaventosi, e ai morti. Tutto un rimpallo, tra competenze messe in discussione e punzecchiature, tra Roma e Milano, tra Lega e Pd, Lega e M5S. La zona rossa a Nembro e Alzano non è stata fatta, questa è l’unica certezza, mentre la magistratura andrebbe lasciata al suo lavoro. I dati parlano chiaro: fermandosi anche solo al 4 di aprile i morti a Nembro, partendo dal primo di marzo, erano stati 154 contro i 17 dell’anno prima, ad Albino 155 contro 24, ad Alzano 122 rispetto ai 10 del 2019. Il Corriere Bergamo ha estrapolato un confronto tra i dati: a Codogno e negli altri Comuni del Lodigiano che erano stati «chiusi» già il 22 di febbraio, l’incremento di mortalità è stato del 369%. Ad Alzano, Nembro e Albino, invece, la differenza è stata del 570%. Si potevano salvare vite umane? L’istituzione della zona rossa sarebbe servita? Secondo l’Istituto superiore di sanità sì, un parere netto della politica, invece, non è ancora noto.