La vita segreta dei prati fioriti
Rinaldi (Orto botanico): «Le restrizioni ci hanno dato più tempo per osservare»
Dalle aiuole in città alle distese variopinte che circondano i sentieri. È l’ora dei prati fioriti. Il direttore dell’Orto botanico consiglia di studiarli con la lente d’ingrandimento.
Ci sono prati che bisogna andare a cercare. Altri che se ne stanno sotto la finestra di casa. E altri ancora che ti colgono di sorpresa: sbucano inaspettati dal bordo di un marciapiede, dal più grigio angolino di cemento. Hanno una storia anche loro, in quest’epoca di chiusure e ripartenze. Così, se aiuole o giardini sono diventati compagni che segui dalle prime margherite, le strade, compresi i tragitti quotidiani pre lockdown, hanno come l’effetto di nuove frontiere. Non c’è stato il tempo di accompagnare, un giorno alla volta, i papaveri sbocciare. È stato subito maggio. «Le restrizioni — riflette Gabriele Rinaldi, direttore dell’Orto botanico — ci hanno dato più tempo per osservare una metamorfosi che si ripete ogni anno, che è più evidente in una pianta, perché è molto semplice notare il mutamento di un albero. Pensiamo a un pesco che fiorisce, dà frutti e poi perde le sue foglie. Ma lo stesso fenomeno riguarda anche ogni singola pianticella del prato. Molto velocemente si passa dalle gemme, che hanno resistito all’inverno, alle fioriture».
Sono ecosistemi complessi, i prati. «L’aspetto che li rende interessanti — prosegue Rinaldi — è la convivenza tra diverse piante. I botanici sanno che in 100 metri quadrati si possono trovare anche 50, 60 specie diverse e non sono solo competitive tra loro, ma collaborano anche». E si relazionano con il resto del mondo. Con gli insetti, «e con gli organismi del suolo. Ci sono funghi che aiutano gli apparati assorbenti delle piante, li rendono molto più estesi. Allo stesso modo colonie di batteri vivono grazie alle radici delle piante». Per non parlare degli insetti impollinatori, così attratti dai gialli di questa stagione. «Il prato è un sistema affascinante, per noi uomini in particolare in questo periodo. Siamo animali complessi e un po’ poeti, ci lasciamo affascinare dalle corolle, dai profumi, dai blu, dai gialli, dai rosa sgargianti». Dalle forme grandi, ma per Rinaldi il vero segreto è munirsi di lente: «Se ci chiniamo e studiamo il prato da vicino, con una lente, ne usciamo stravolti. Possiamo scoprire, ad esempio, che quelli che ci sembrano fiori spesso sono infiorescenze costituite da migliaia di fiorellini». O che le comuni graminacee, le piante del vento e delle allergie che costituiscono la gran parte della matrice verde, «sono veri elementi di design dalle forme eleganti». Racemi, spighe, minuscole pannocchie.
Ecco, l’uomo. Non sempre la sua presenza è ingombrante. Per chi ha avuto la fortuna di non accontentarsi dei prati cittadini, senza per forza raggiungere alte quote, sono state (e in parte lo sono ancora) settimane di cicoria e asparagi, violette e genziane, primule e orchidee, margherite e botton d’oro, ranuncoli e narcisi, quelli selvatici, un tempo raccolti nelle lunghe sere di maggio. «Oggi — spiega Luca
Mangili, presidente dell’associazione Flora alpina bergamasca — si trovano soprattutto sui monti che si affacciano verso la pianura: il Canto Alto, il Linzone, i Colli di San Fermo. Sporadicamente compaiono anche nelle valli, dove però penetrano più difficilmente. In Val Brembana sono rari. In molti casi, le popolazioni di Narcissus poëticus, un tempo straordinariamente ricche, si sono ridotte, non tanto per la raccolta indiscriminata di cui è stato oggetto, quanto per il generale abbandono dei prati montani». Il taglio dell’erba oppure il pascolo favoriscono la biodiversità e rallentano l’avanzare spesso incontrollato del bosco.
L’Orto botanico, che con le dovute precauzioni ha riaperto al pubblico sia in Città Alta sia ad Astino, organizza anche laboratori per bambini dedicati al prato. La missione è scoprire fiori, foglie, insetti. Persino nell’aiuola apparentemente più disordinata le sorprese non mancano.
Lo strumento «Se ci chiniamo con una lente d’ingrandimento, ne usciamo stravolti»