Via Conchetta, Chiesa Rossa le ex Cartiere Binda: pedalata soft lungo il Naviglio Pavese Tra gioielli di ingegneria idraulica vecchie filande e oasi di pesca Di chiusa in chiusa
Apparentemente, un itinerario classico. Apparentemente, senza colpi di scena, partenza alle spalle della Darsena di Milano e poi via, sempre dritto lungo il Naviglio Pavese, con l’acqua come unico filo conduttore. Sorpresa: non è proprio così. «Le tratte considerate scontate regalano a volte piaceri inaspettati», filosofeggia Alberta Schiatti, ciclista fortissima e autrice del blog Donne con le gomme. «Il Pavese è un canale umile, in secondo piano rispetto al fratello più modaiolo, ma inseguire le sue chiuse, veri gioielli di ingegneria idraulica, ha un certo fascino e inoltre l’apertura sulla campagna è pirotecnica» (definisce poi uno scandalo che di là, sul Grande, sia stata disegnata una ciclabile, mentre di qui, per un lungo tratto i ciclisti siano costretti a contendersi l’asfalto con auto e scooter).
Conchetta, la prima chiusa. La più piccola fra quelle che si incontrano lungo il Pavese (dodici fra Milano e Pavia, necessarie per permettere alle imbarcazioni di superare il dislivello fra la Darsena e il Ticino) è in piena città, all’altezza dell’incrocio fra via Ascanio Sforza e via Conchetta. «È il tipico esempio di opera che hai sempre sotto gli occhi e per questo non vedi: credo che pochi saprebbero indicarla e ancora meno spiegarne la funzione», sottolinea. Eppure non dovrebbe passare inosservata, anche solo per il rumore dell’acqua, fortissimo, da ruscello impetuoso, che si impone sull’eco della circonvallazione. La prospettiva migliore si ha dal ponte, così si nota meglio l’edicola in mattoni (destinata al guardiano delle acque), mentre sotto ai piedi appaiono i due canali, uno a fianco dell’altro: il laterale (detto lo scaricatore), e quello navigabile, per la risalita e discesa delle imbarcazioni, il flusso d’acqua veniva regolato manovrando le porte.
Con il profilo placido del Naviglio sulla sinistra, si procede lungo l’Alzaia. Chiesa Rossa e poi Conca Fallata, la seconda chiusa, la più importante: cinque metri di salto, quasi una cascata in formato mignon (fino a dieci anni fa alimentava le cartiere Binda). «Fallata significa sbagliata, ma il nome cela qualcosa di più di una valutazione tecnica, indica il disappunto, la riprovazione, per l’interruzione dei lavori di costruzione del Pavese, ci sono voluti cinque secoli prima di arrivare al completamento!». Il paesaggio inizia ora a cambiare, amplificando la sensazione di fuga dalla città: costruzioni rurali, campi seminati, aironi che si alzano in volo. Ed eccoci di fronte alla terza chiusa, la conca di Rozzano, la più spettacolare, con la vecchia filanda e la ciminiera a farle da quinta, e oltre il ponte la casa del Genio Civile per il Guardiano idraulico. L’ultima conca di questo itinerario è la Moirago, punto di ritrovo dei pescatori della zona. «Non è ancora finita», avverte Schiatti, «a Moirago vale una visita il complesso rurale del Musa, Museo Salterio, Officina del Gusto e Paesaggio, e nello stesso comprensorio un’occhiata alla meravigliosa Villa Caimi Salterio, ex convento del 1300».
Atmosfere
Un canale umile, in secondo piano rispetto al fratello più modaiolo, in un attimo è campagna